Anna Somers Cocks
Leggi i suoi articoliAll’inizio di marzo i media di tutto il mondo hanno riportato il decreto del governo italiano che vieta alle navi da crociera di oltre 40mila tonnellate di passare per Venezia. Devono invece entrare in Laguna dalla bocca di porto di Malamocco e ormeggiare nel porto commerciale di Marghera. Una misura temporanea, dicono, in attesa degli studi di fattibilità sulla costruzione di un porto fuori Laguna.
Proprio mentre sto affilando la penna per scrivere quanto sia insoddisfacente anche questa decisione, scopro che il presidente della Regione Veneto, Luca Zaia, si rallegra (16 aprile) che le prime due navi da crociera dall’inizio del lockdown arriveranno a Venezia. Nulla cambia: entreranno ancora dal Lido, navigheranno verso il Palazzo Ducale e la Basilica di San Marco, quindi svolteranno a sinistra nel Canale della Giudecca per ormeggiare alla Stazione Marittima. La scusa: il porto di Marghera non è pronto.
Vale la pena ricordare che sono passati nove anni da quando nel 2012 la Costa Concordia si arenò sull’Isola del Giglio e il governo italiano emise il primo decreto che vietava l’ingresso in Laguna delle grandi navi, alcune alte 14 ponti, più alte del campanili più alti della città. Decreto rimasto lettera morta come tutte le successive dichiarazioni ufficiali d’intenti.
Diamo tuttavia a questo governo il beneficio del dubbio. Mario Draghi è stato incaricato (nientemeno) di salvare il Paese. La sensazione è che questo sia un momento in cui un cambiamento è effettivamente possibile.
Ma, attorno alla gallina dalle uova d’oro Venezia, potenti forze sono contrarie al cambiamento, in primis il sindaco Luigi Brugnaro, eletto nel 2015 e rieletto nel 2020 con la promessa di tenere aperta Venezia alle navi da crociera. Il suo commento al «Fatto Quotidiano» sul loro ritorno alla Stazione Marittima parla chiaro: «Sarà la soluzione valida per un po’ di anni, fino a quando il Governo non deciderà di fare uno scalo in mare, cosa che a me sembra assurda».
Draghi deve diffidare di qualsiasi soluzione «per un po’ di anni» ed evitare soprattutto misure tiepide e parziali. Deve invece chiarire che le navi da crociera saranno ricollocate definitivamente fuori Laguna e che Marghera è solo una soluzione a brevissimo termine. Ma deve andare oltre. Infatti la questione è molto più grande delle sole navi da crociera: nessun porto all’interno della Laguna avrà un futuro per qualsiasi nave di grandi dimensioni, petroliere e portacontainer comprese.
La prima ragione è economica (prendete nota, eventuali investitori): l’innalzamento del livello del mare inesorabilmente renderà l’accesso di queste navi incompatibile con la necessità di alzare sempre più frequentemente le barriere Mose tra la Laguna e il mare. La stima attuale è 15 volte l’anno, saranno almeno 40 volte nel 2040.
La seconda ragione è ecologica: il Canale dei Petroli, il grande taglio nella laguna fatto negli anni '60 per consentire l’ingresso delle grandi navi, causa perdite massicce di sedimenti, rendendo le acque calme che un tempo proteggevano Venezia più simili al mare aperto. La sopravvivenza di Venezia è inseparabile da quella della Laguna.
La terza ragione è civile, quella su cui l’Italia verrà giudicata nei secoli futuri: dare priorità alla protezione della città rispetto al porto. Per anni le autorità hanno sempre taciuto sul motivo per cui alzeranno le barriere solo quando l’acqua alta raggiungerà i 110 centimetri sul livello medio del mare. Adesso abbiamo scoperto che la ragione è una sola: consentire il massimo accesso possibile alle navi.
Ma con l’acqua alta a 110 centimetri il cuore della città, Piazza San Marco e la Basilica (quel «grande messale miniato legato con alabastro invece che pergamena», come lo chiamava John Ruskin), sono sott’acqua, perché cominciano ad allagarsi con l’acqua a 88 centimetri. «Incredibile» è il giudizio del mondo; «business è business» rispondono le imprese locali. Adesso o sarà troppo tardi: è questo il momento irripetibile per il governo Draghi di intervenire se vuole salvare la città più bella al mondo.
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