Come mostra una fotografia d’epoca, assieme al dipinto «Amiche I/Le sorelle» (1907), nel 1957 «Wasserschlangen II» («I serpenti d’acqua II», 1904-07) di Gustav Klimt adornava l’austera sala da pranzo di Gustav Ucicky, uno dei presunti figli naturali dell’artista. Regista cinematografico di fede nazista, Ucicky aveva comprato «Wasserschlangen II» nel 1940 da Dorotheum. Fino al 1938 il dipinto sul tema dell’omosessualità femminile (80x144 cm) era stato parte della collezione di Jenny Steiner, ed era stato arianizzato assieme a tutto il patrimonio dell’imprenditrice austriaca di origini ungheresi, nonché importante promotrice dell’arte di Klimt, da cui «Wasserschlangen II» era stato acquisito nel 1911.
Quella transazione da Dorotheum, tangenziale alla 458ma asta del 5 marzo 1940, riguardava dunque inequivocabilmente arte razziata. La storia di «Wasserschlangen II» si presenta come tante altre nel vasto capitolo delle razzie naziste, ma sa illustrare in modo eloquente un paradigmatico intreccio di svariate facce del capitolo restituzioni. Ucicky morì il 26 aprile 1961, lasciando la quasi totalità della sua collezione di opere di Klimt alla moglie Ursula. Il 14 ottobre 1961 il valore del quadro venne stimato in 100mila scellini (poco più di 7mila euro), quasi il doppio di «Amiche I/Le sorelle» e il doppio esatto del ritratto di Gertha Felsövanyi, ma nulla in confronto alle quotazioni attuali.
Tre anni dopo il quadro ricomparve per l’ultima volta nel corso di una mostra estiva congiunta di Künstlerhaus, Wien Museum e Padiglione della Secessione, dedicato a Vienna all’inizio del ’900. Poi se ne persero le tracce, tanto che nel prezioso volume di Sophie Lillie Was einmal war (Vienna, 2003), nella scheda dell’opera la proprietà veniva indicata come «sconosciuta» e non casualmente la ricercatrice scelse simbolicamente proprio quel quadro per la copertina. Lo stesso editore viennese Czernin, di proprietà del giornalista investigativo Hubertus Czernin, aveva puntato il dito contro Ucicky per la prima volta nel 1999: «Benché si sappia della collezione di Ucicky almeno già dal 1942, ad oggi nessuno storico dell’arte e nessun esperto di Klimt ha cercato di ricostruire le sue razzie nella Vienna arianizzata».
Quattordici anni dopo, nell’estate del 2013, con il supporto dell’allora direttore amministrativo del Leopold Museum, Peter Weinhäupl, il quadro riemerse brevemente per essere venduto tramite Sotheby’s per 112 milioni di dollari. Grazie a un accordo extragiudiziale il ricavato venne condiviso dalla comunità di eredi di Jenny Steiner e dalla vedova di Ucicky, con conseguente pietra tombale su possibili ulteriori dispute sulla provenienza.
L’effetto di quella vendita a sorpresa creò subbuglio nel mondo dell’arte e della politica viennese, con pesanti critiche a Weinhäupl, un’interrogazione parlamentare e le dimissioni per protesta dell’allora direttore museologico del Leopold Museum, Tobias Natter, che si dichiarò all’oscuro delle azioni del collega. Ma quella vendita col botto produsse anche strascichi legali tra gli eredi di Jenny Steiner.
Con la sua parte di ricavato e con il supporto di Peter Weinhäupl, nel settembre del 2013 Ursula Ucicky fondò la controversa Klimt Foundation. L’acquirente di «Wasserschlangen II» era il discusso Yves Bouvier, che rivendette subito il quadro per 183 milioni di dollari all’oligarca russo Dmitri Rybolovlev, lo stesso che aveva acquistato anche il presunto Leonardo «Salvator Mundi» e che successivamente fece causa a Bouvier.
Il quadro di Klimt venne poi rivenduto con ogni probabilità a Rosaline Wong, fondatrice di HomeArt a Hong Kong, che ha deciso di prestarlo per la mostra «Klimt ispirato da Van Gogh, Rodin, Matisse» (fino al 29 maggio al Belvedere Inferiore di Vienna). L’accordo prevede che la prestatrice sostenga parte delle spese di assicurazione dell’opera in cambio di analisi scientifiche e di un parziale restauro da parte del Belvedere, comprensibilmente felice di poter dare uno sguardo da vicino a uno dei capolavori del periodo d’oro di Klimt, dopo sessant’anni di assenza da Vienna.