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Le radici del presente di Francesca Dondoglio

Un intervento site specific nella Chiesa di San Filippo Neri a Biella

Olga Gambari

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È sempre un bel dialogo quando il contemporaneo rivolge la parola al passato. Prima di tutto perché non c’è futuro senza radici. Poi, perché si creano conversazioni che vanno oltre alle parole, tunnel temporali dove le persone riescono a camminare all’interno di temi, letture ed emozioni a volte relegate in ambiti e sottomondo specialistici. Mentre invece, appartengono alla vita.

L’occasione di un restauro, nel progetto «Transeunte», diventa incontro tra tempi diversi, tra concezioni del sacro e della spiritualità che aprono a una partecipazione intima del pubblico e a dibattito sull’attualità dell’arte sacra. Tutto questo nello spazio di una chiesa, mai come ora simbolo di comunità, al di là della fede. La giovane artista Francesca Dondoglio è la figura che rivolge la parola al passato, al pittore piemontese Pietro di Lace, autore nella seconda metà del XVIII secolo della pala d’altare raffigurante la «Madonna in gloria con angeli e il S. Giovanni Nepomuceno», oggetto del restauro da parte della Cooperativa Koinè Conservazione Beni Culturali.

Nella Chiesa di San Filippo Neri a Biella, lo spazio lasciato temporaneamente vuoto dal trasporto in laboratorio della pala di Pietro di Lace accoglie per due giornate, il 19 e 20 dicembre, l’intervento site specific di Francesca Dondoglio. Non una semplice sostituzione, ma un’assenza che diventa presenza, che si propone come spazio collettivo, di narrazione.

Francesca Dondoglio realizza una grande tela modulata sul perimetro di quella antica. Nella sua pala va in scena un confronto tra due colori, il rosso e il blu. Un gioco ottico e percettivo puro e potente, fatto di accostamenti e sfumature. Pittura che passa dalla condizione di campitura piena e satura a quella di velatura soffusa. La scelta dei due colori si riallaccia al loro valore simbolico nell’ambito dell’arte sacra storica: come il rosso incarna l'amore divino, il blu rappresenta la verità celeste, la saggezza.

Oltre alla immaterialità e alla trascendenza, il blu è metafora della serena immutabilità di chi ha posto nello spirito e nell’Assoluto il fondamento della propria esistenza. Infatti, al di là delle nubi, anche le più minacciose ed oscure, il cielo mantiene immutato il suo caratteristico azzurro, colore simbolico dell’anima che, liberata dal peso della materia, vola verso una dimensione spirituale.

Il rosso, tipico della veste mariana, esprime il rinnovamento della Vita imperitura, resa accessibile dall’«Ecce ancilla Domini» dell’Annunciazione. Il Verbo, fattosi carne, ha intrecciato la propria divinità col sangue umano, rendendolo etereo ed eterno. Il colore rosso, quindi, esprime il mistero della trasfigurazione della natura umana e quello della resurrezione finale, doni dell’amore divino infinito e salvifico. Proprio da questo contrasto, come su un tessuto prezioso, viene esaltata la strepitosa Vergine in trono del Dittico di Melun attribuito a Jean Fouquet (1450-55), che scopre un seno per allattare il Bambino, circondata da un tripudio  di cherubini blu e serafini rossi.

La pala di Dondoglio è una declinazione, e una summa, di quel concettualismo sensoriale che attraversa tutto il Novecento. Un lungo viaggio ancora in corso. La nascita dell’arte astratta, la vitalità espressionista, così impusiva e antinaturalistica, il movimento del color field nell’ambito dell’espressionismo americano. Come non ricordare le impalpabili bande cromatiche di Mark Rothko, quel loro vibrare elettrico, che suonava funereo e ineluttabile negli affreschi della Cappella de Menil a Huston, trasformata dall’artista nel 1964 in uno spazio spirituale laico, preludio del suo suicidio, con velature riassorbite in un nero che era un abisso. Un nero apparente come quello dalle infinite sfumature di Ad Reinhardt, nei suoi Black Painting, ai quali l’occhio doveva abituarsi per iniziare a vederli muoversi e sfaldarsi.

E il viaggio comprende anche la ricerca di rarefazione e purezza delle avventure monocrome: colore come superficie aperta, come ignoto che si schiude sul tutto. C’è anche questo nell’intervento di Dondoglio, appunto, le radici del presente.

Facile intuire perché il suo lavoro diventi una porta che si schiude su dimensioni altre, un luogo di attraversamento, dove il confine cromatico smaterializza la tela e i limiti, la materia pittorica stessa, la realtà. Un mondo dove rosso e blu delineano l’esperienza di un percorso di iniziazione per l’autrice e per il pubblico, un cammino di elevazione che via via perde consistenza per farsi permeabile, emanazione di una dimensione spirituale che ciascuno può interpretare soggettivamente, in maniera sia laica sia religiosa.

Un luogo che si schiude davanti agli occhi dello spettatore e allo stesso tempo lo riconduce nella sua interiorità, per interrogarsi e ascoltarsi su quelle tensioni che appartengono a tutti, in ogni tempo, che sia quello a cui apparteneva Pietro di Lace, così come i nostri giorni, di cui Dondoglio è giovane espressione artistica.

La seconda parte del progetto, invece, vedrà nella primavera 2021 due giornate di incontri, confronti aperti con il pubblico: un percorso di conoscenza e approfondimenti, per una dinamica di restituzione partecipativa e inclusiva con la comunità.
 

L'interno della chiesa di San Filippo Neri a Biella

Olga Gambari, 17 dicembre 2020 | © Riproduzione riservata

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