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Luana De Micco
Leggi i suoi articoliDal jersey di Coco Chanel ai cachemire leopardati di Tom Giddins, un secolo di innovazioni che hanno portato la maglieria al centro dell’alta moda
Se i lavori di maglieria sono arrivati sulle passerelle dell’alta moda, molto lo si deve a Gabrielle «Coco» Chanel. Negli anni Venti del Novecento, quando il jersey era un materiale usato per fare abiti pratici e poco estetici, la stilista francese aveva trasformato questa maglia rasata e leggera, con cui ancora alla fine dell’Ottocento si vestivano i pescatori inglesi, in un tessuto di grande classe. Era il suo modo di liberare il corpo delle donne inventando una nuova eleganza, quella della donna moderna che vuole vestirsi bene ma anche stare comoda.
Dal 1913 la stilista, pioniera (anche) in materia di «tricot», aveva aperto un negozio a Deauville, la spiaggia chic della Parigi bene. Dalla maison di tessuti Rodier aveva acquistato nel 1916 un grande stock di jersey di cui le piaceva la morbidezza al tocco e la vestibilità e si era messa a creare leggeri abiti da donna e morbidi pullover. La maglieria d’alta moda era dunque nata, e andava di pari passo con l’emancipazione della donna.
Da Chanel fino a Vivienne Westwood, passando per Bill Gibb, Missoni, Comme des Garçon, o ancora Sonia Rykiel, la passione per la maglieria ha conquistato grandi nomi della moda internazionale, e con il tempo sono evoluti i modi di lavorazione e le utilizzazioni. Un secolo di storia che la mostra «Knitwear. From Chanel to Westwood» racconta fino al 13 marzo alla Kunsthal di Rotterdam, in collaborazione con il Fashion and Textile Museum di Londra. I 150 lavori esposti sono stati scelti nella collezione inglese di Mark e Cleo Butterfield, uno scrigno di tesori che raccoglie pezzi unici di Missoni, le prime maglie con cardigan abbinato di Chanel del 1918, e alcuni pezzi vintage, come i maglioncini di lana fatti a mano degli anni Trenta.
Degli anni Venti sono i costumi da bagno in jersey, interi, che modellano il corpo, con le bretelle o a décolleté, stretti in vita con una cintura. In quegli anni l’artista Sonia Delaunay realizza dei costumi di lana avanguardisti, originalissimi, con disegni geometrici a zig zag di diversi colori, ma che pungono un po’ sulla pelle e si restringono asciugandosi al sole. Alla fine degli anni Venti anche Elsa Schiaparelli lancia la sua prima collezione di alta moda lavorata ai ferri. Del 1930 è l’abito che ha fatto epoca con la lunga, centrale, cerniera lampo esclusivamente decorativa.
Si arriva agli anni Quaranta, il momento del «make-do-and-mend»: vuol dire che con la guerra e le sue restrizioni, bisogna darsi da fare e sapersi accontentare. Le donne allora si mettono ai ferri e il maglioncino usato si rattoppa con inserti e fiori «strategici». In mostra ci sono anche i pullover da cocktail degli anni Cinquanta, ornati di perline e paillettes, col manicotto assortito, e quello di morbida lana d’angora di Luisa Spagnoli con il collo di pizzo all’uncinetto. Si passa per i miniabiti indossati dalle giovani negli anni Sessanta e i maglioncini ispirati alla Pop art dei primi anni Settanta.
L’arrivo di nuovi stilisti come Bill Gibb e Missoni rivoluziona la moda ancora una volta. Elio Fiorucci inventa la moda pop. Per Biba, Barbara Hulanicki reinterpreta lo stile marinaro, i lavori di Rae Spencer-Cullen per Miss Mouse annunciano gli esplosivi anni Ottanta. Del 1983 è il pullover oversize e unisex di Comme des Garçons. Si attraversano gli anni Novanta con Julien Macdonald e i suoi materiali sperimentali e si chiude sulla moda degli anni 2000, con i cachemire leopardati e giocosi di Tom Giddings e la maglieria per ferri giganti, l’abito cilindro e il maxicollo di Christopher Dadey, entrambi per Sibling.
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