El Greco, «La Trinità», 1577-79, Madrid, Museo Nacional del Prado (particolare)

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El Greco, «La Trinità», 1577-79, Madrid, Museo Nacional del Prado (particolare)

Al Prado tre monografiche su El Greco, Veronese e Mengs

Si parte a febbraio con la mostra che per la prima volta riunisce i dipinti, in gran parte dispersi nell'Ottocento, che Domínikos Theotokópoulos eseguì per il Monastero di Santo Domingo el Antiguo a Toledo

L’anno espositivo del Museo Nacional del Prado a Madrid punterà i fari su tre grandi maestri della collezione. Dal 18 febbraio al 15 giugno la Galleria Centrale dell’Edificio Villanueva ospita l’allestimento di «El Greco. Santo Domingo el Antiguo». A cura di Leticia Ruiz, direttrice del Dipartimento di Pittura Rinascimentale Spagnola del Prado, la mostra riunisce per la prima volta  dal 1830 la maggior parte delle opere che Domínikos Theotokópoulos dipinse per il Monasterio de Santo Domingo el Antiguo a Toledo, uno dei più importanti e antichi monasteri della città (fondato da Alfonso VI, risale al 1085), abitato da monache cistercensi. Il pittore cretese a metà del 1577 si trovava nella città castigliana, probabilmente chiamato dal decano della cattedrale, don Diego de Castilla, in cerca di un bravo pittore a cui affidare le pale d’altare della nuova chiesa del monastero. El Greco realizzò otto tele di diversi formati, portando a termine la commissione, la più importante ricevuta fino a quel momento, nel 1579. La composizione comprendeva una struttura a retablo per l’altare maggiore, con dipinti raffiguranti l’«Assunzione della Vergine» e la «Trinità» (oggi al Prado); ai lati della prima erano collocate le mezze figure di «San Benedetto» e «San Bernardo» e le figure dei santi Giovanni Battista e Giovanni Evangelista; completavano il progetto iconografico le pale con la «Natività» e la «Resurrezione». Intorno al 1830 le due tele maggiori e le due mezze figure vennero staccate, vendute e sostituite con copie. Oggi solo tre delle opere originali si trovano nel luogo per le quali furono concepite: le figure di san Giovanni Battista e di san Giovanni Evangelista e la «Resurrezione». A Madrid le pale sono nuovamente riunite, ad eccezione del «San Bernardo», oggi all’Ermitage di San Pietroburgo, dov’è giunto, dopo molte peripezie, come bottino di guerra nel secondo conflitto mondiale. Grazie a un accordo con l’Art Institute di Chicago, tornerà invece al Prado dopo più di un secolo, e sarà esposta insieme alle opere conservate presso il museo, l'«Assunzione della Vergine», il primo dipinto di grandi dimensioni (è alto oltre 4 metri) realizzato dal cretese in Spagna.  

Dal 27 maggio e per tutta l’estate, fino al 21 settembre, nell’Edificio Jerónimos, con «Paolo Veronese (1528-1588)» il Prado aggiunge il tassello conclusivo al percorso di studio e rivalutazione della propria collezione di pittura veneziana del Rinascimento, avviato con «I Bassano nella Spagna del Secolo d’Oro» (2001), e proseguito «Tiziano» (2003), «Tintoretto» (2007) e «Lorenzo Lotto. Ritratti» (2018). Curata dal direttore del Prado Miguel Falomir e da Enrico Maria dal Pozzolo, docente di Storia dell’arte moderna all’Università di Verone e specialista di pittura veneta del Rinascimento e del Barocco, la mostra sottolinea l’importanza di Paolo Caliari, «il Veronese», nella collezione del museo, data la sua influenza in Spagna e nel Secolo d’Oro. Attraverso 120 tra tele, tavole, affreschi, disegni e oggetti della collezione Prado e di prestatori internazionali (compresi capolavori provenienti dal Museo di Castelvecchio a Verona), la mostra  si concentra su tre temi principali: il processo creativo di Veronese e la sua gestione della bottega, dai primi schizzi alla produzione di dipinti a olio; l’eccezionale abilità di Caliari come capobottega, superiore anche ad altri grandi maestri dell’epoca come Tiziano o Tintoretto; e la sua capacità di rappresentare le aspirazioni delle élite veneziane, riflessa nel suo stile cosmopolita che attirava le corti europee.

La terza e ultima monografica dell’anno è dedicata, come recita il sottotitolo, al «più grande pittore del XVIII secolo»: Anton Raphael Mengs (Aussig, 1728-Roma, 1779), e si preannuncia come la più importante fino ad oggi dedicatagli. Dal 25 novembre al primo marzo 2026 nelle sale A e B dell’Edificio Jerónimos intorno a un nucleo di opere di proprietà soprattutto del Prado e del Patrimonio Nacional saranno allestiti prestiti da collezioni internazionali: in tutto 150 tra acquerelli, pastelli, disegni, dipinti ad olio, affreschi (il «Giove e Ganimede» dalle Gallerie Nazionali d’Arte Antica Barberini Corsini di Palazzo Barberini a Roma, affresco riportato su tela con cui il pittore tedesco giocò un brutto tiro all’amico Winckelmann, che l’aveva scambiato per un frammento antico), sculture, medaglie e manoscritti.  A cura di Andrés Úbeda, vicedirettore della Conservazione e della Ricerca del Museo del Prado, e da Javier Jordán de Urríes, curatore del Patrimonio Nazionale, la rassegna mira a offrire una panoramica completa di Mengs, dei suoi modelli e delle sue influenze, evidenziando il suo rapporto con grandi maestri come Raffaello, Correggio e Pompeo Batoni.

Redazione, 24 gennaio 2025 | © Riproduzione riservata

Al Prado tre monografiche su El Greco, Veronese e Mengs | Redazione

Al Prado tre monografiche su El Greco, Veronese e Mengs | Redazione