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Leggi i suoi articoliL’annuncio, rimbalzato ieri sulle testate specializzate, che il prossimo autunno la galleria Thaddaeus Ropac aprirà una sede a Milano, nel Palazzo Belgioioso, sarebbe l’ennesimo segnale di quanto, la «capitale finanziaria d’Italia» si stia trasformando, dopo la Brexit, «nell’ultimo hotspot europeo dell'arte»: una meta appetibile per galleristi e «individui super ricchi, richiamati da un regime fiscale sempre più attraente». È Melanie Gerlis, giornalista specializzata in mercato dell’arte, sul «Financial Times» a fare il punto su questa tendenza, rilanciando anche il possibile prossimo approdo in città di Ben Brown Fine Arts. Lo scorso novembre il gallerista londinese aveva anticipato ad Artsy l’intenzione di aprire a Milano un ufficio e una galleria, tra gli altri motivi «perché l'Italia ha sostituito l'Inghilterra come paradiso fiscale all'interno dell’Unione Europea». Le persone fisiche che trasferiscono la propria residenza in Italia possono in effetti beneficiare di un’imposta sostitutiva sui redditi prodotti all’estero pagando un’imposta fissa di 100mila, di recente elevata a 200mila euro (per chi abbia trasferito la propria residenza in Italia dopo il 10 agosto), ma comunque ancora allettante.
Un altro segnale si era visto la scorsa primavera, in concomitanza con Biennale di Venezia e miart, con l’apertura di un pop-up di Lehman Maupin, in via della Spiga. Un esperimento riuscito, parrebbe. Gerlis riferisce infatti di «vendite tra i 50mila e i 250mila euro, con un gran numero di visitatori italiani e stranieri». La città, conferma Brown alla giornalista, ha «una comunità di acquirenti attiva», sul fronte «dell’arte contemporanea internazionale e di giganti dell'arte italiana del ’900 come Fontana e Boetti, che compra e vende a tutti i livelli, da un’opera su carta da 50mila euro a una Mappa di Boetti da 2 milioni». Per contro, rileva ancora Brown, la comunità artistica milanese è «ancora minuscola» rispetto a Londra o New York: « Se aprono 10 gallerie, otto perdono soldi, a meno che non mantengano basse le spese generali». E poi l’Italia è «un Paese piuttosto burocratico, quindi non immediatamente allettante». In compenso, «c’è molta meno concorrenza che a Parigi».
Un precursore della tendenza, ricorda Gerlis, era stato Lisson, che nel 2011 aveva aperto un proprio spazio (il primo all’estero) non lontano dal Cenacolo di Leonardo. Forse però, la galleria londinese era troppo in anticipo sui tempi, e nel 2017 l’avamposto milanese si era dovuto arrendere. «Avrebbe avuto più senso aprire ora», ammette Alex Logsdail, l’amministratore delegato di Lisson, che motiva l’abbandono del progetto milanese con la necessità di concentrarsi sull’apertura a New York. «Milano, aggiunge Logsdail, era meravigliosa e gli artisti amavano il piccolo spazio che avevamo, ma era ora di cambiare il luogo in cui impiegare le nostre energie».
Tornando a Ropac, il gallerista internazionale la cui scuderia annovera artisti come Anselm Kiefer ed Antony Gormley spiega che a una galleria così radicata in Europa (partito da Salisburgo ha infatti aperto spazi anche a Londra e Parigi) «mancava ancora l’Italia»: Perché Milano e non la capitale? chiede Gerlis. Perché, risponde Ropac, «Roma è forse la città più bella d’Italia, ma non ha la stessa energia». Il momento, pensando anche alle Olimpiadi del 2026, appare del resto favorevole. Quest’anno ricorre il centenario della nascita di Robert Rauschenberg, artista di cui Ropac rappresenta il lascito e al quale il Museo del Novecento dedicherà una mostra in primavera. «Siamo molto ottimisti», chiosa il gallerista.
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