David D'Arcy
Leggi i suoi articoliIl fotografo statunitense Peter Hujar (1934-87), ammirato da amici e colleghi nell’ambiente artistico della New York anni ’70 e ’80, è oggi celebrato dalla critica per i suoi ritratti di artisti e di animali. Dalla sua scomparsa, avvenuta nel 1987 a causa di una malattia correlata all’Aids, la sua fama è cresciuta esponenzialmente. Oltre a una mostra retrospettiva di rilievo alla Raven Row di Londra (fino al 6 aprile), e al Centro per l’arte contemporanea Luigi Pecci di Prato («Peter Hujar: Azioni e ritratti / viaggi in Italia» a cura Grace Deveney con Stefano Collicelli Cagol; fino all’11 maggio), un nuovo film tratto dalla trascrizione di una lunga conversazione con Hujar nel 1974 aggiunge un tassello significativo alla sua conoscenza.
Diretto da Ira Sachs, «Peter Hujar’s Day» (2025) è stato presentato in anteprima al Sundance Film Festival appena conclusosi e dal 14 febbraio sarà presentato alla Berlinale. Si tratta di un’opera delicata e misurata, quasi un monologo, in cui Hujar racconta alla sua amica Linda Rosenkrantz il corso di un’intera giornata. La conversazione era destinata a un libro che raccoglieva testimonianze degli artisti della Downtown newyorkese sul loro quotidiano. Il nastro originale, registrato da Rosenkrantz, è andato perduto, ma una trascrizione è stata rinvenuta tra i documenti dell’Hujar Estate, conservati alla Morgan Library & Museum di New York e pubblicata nel 2021.
La scena si svolge a New York, nel dicembre 1974. Richard Nixon, caduto in disgrazia, ha abbandonato la Casa Bianca da meno di cinque mesi, mentre la sua «vietnamizzazione» del conflitto indocinese sta ormai naufragando. Il mondo di «Peter Hujar’s Day» è un microcosmo dell’universo artistico, ma gli eventi globali fanno capolino nel film attraverso ironiche allusioni, come quelle al poeta Allen Ginsberg, evocato da Hujar (interpretato da Ben Whishaw) che ricorda di avergli scattato un ritratto. L’autore di Howl (Urlo) racconta Hujar, non era particolarmente fotogenico. «Continuava a ripetere “Om, om, om, om om’” poi si siede in posizione del loto, molto Buddha, proprio sulla soglia della porta, e comincia a cantilenare. Non posso interrompere Dio. Non posso dirgli: ‘Può smetterla, per favore?’»
Sul grande schermo, i riferimenti a figure celebri si alternano a momenti feriali, in cui si mangia e si fuma, e a qualche pettegolezzo indiscreto, come la confidenza di Ginsberg a Hujar secondo cui William Burroughs avrebbe avuto un debole per i giovani dall’aspetto «preppy». In alcuni passaggi, il film sembra quasi un’ode pre Seinfeld alla quotidianità di un artista incompreso, in cui, per così dire, non accade nulla.
Nel 1974 Hujar viveva in un loft nell’East Village, mantenendosi a stento con lavori su commissione. Il servizio fotografico con Ginsberg per il «New York Times» era uno di questi incarichi malpagati. Se non sltro, le salsicce di fegato e il cibo cinese costavano poco, e le sigarette si acquistavano per 56 centesimi a pacchetto.
Nel ritratto di Whishaw, Hujar appare come un artigiano precario, scarno ed emaciato, circondato da amici e conoscenti, ma inquieto per la mancanza di denaro. Rebecca Hall, nel ruolo della sua interlocutrice Rosenkrantz, dispensa cibo e consigli con un accento del Bronx credibile e incisivo. Alle pareti del suo appartamento a Westbeth (storico complesso residenziale per artisti nel Greenwich Village, dove è stato girato il film) non ci sono opere d’arte. Eppure, il modo in cui Hujar parla di ciò che osserva tradisce un occhio fuori dal comune.
La conversazione tra i due si apre con una fantasia di Hujar: una fugace immagine di sé a letto con una redattrice francese di «Vogue» («Ho pensato che potesse essere una cosa bellissima, proprio lì, al mattino, molto francese»). Fotografo apertamente omosessuale, Hujar ricorda poi di aver immortalato la modella Lauren Hutton «meglio di [Richard] Avedon», che l’aveva ridotta a una figura androgina in jeans. Peter confida a Linda il desiderio di acquistare un divano per il suo loft, affinché gli ospiti (e gli amanti) possano disporre di un posto dove sedersi, oltre al suo letto. Tuttavia, proprio il letto diventa un elemento centrale nella sua opera: alcune delle sue fotografie più iconiche (ritratti di Susan Sontag, del critico di danza Edwin Denby e di vari amanti) sono ambientate su un letto.
Nel 1974, Hujar era sospeso tra l’anonimato e il riconoscimento, già distante di un decennio dalle sue impressionanti immagini delle catacombe dei Cappuccini di Palermo, dove gli scheletri erano vestiti con abiti che si decompondevano più lentamente della carne. I suoi colleghi rimasero sbalorditi di fronte a quelle immagini, ma ciò non gli procurò incarichi nel mondo della moda. Lo stesso anno realizzò un celebre «autoritratto mentre saltava in aria», immagine che può venire in mente mentre, nel film, lui e Rosenkrantz danzano al suono di una canzone country sul giradischi della donna.
La pellicola di Sachs ha l’estetica morbida di un film europeo degli anni ’70 girato in 16mm, un’opera dal sapore nostalgico, con l’onnipresente fumo di sigaretta e credenze traboccanti di prodotti d’epoca. Il cielo mutevole sullo sfondo evoca Rothko o persino i dipinti veneziani di Monet, come nel caso di una torre azzurrognola che risplende in lontananza. Quando, alla première, è stato chiesto a Sachs se questi effetti fossero voluti, il regista ha risposto che si è trattato di una fortunata casualità, così come accade per molti scatti memorabili.
Nel turbinio di nomi celebri evocati nel film, colpisce l’assenza di Andy Warhol (artefice del mito delle celebrità nella fotografia d'arte e di moda), di Robert Mapplethorpe (all’epoca ancora nell’ombra, ma destinato a diventare una star) e di Diane Arbus, morta suicida nel 1971 a Westbeth. Hujar si mostra disinteressato ai grandi nomi: «Ho sempre avuto un debole per le star, dice. Ma vorrei che il mio lavoro si elevasse al di sopra di esse, che potesse esistere senza bisogno di un nome famoso».
L’elegante minimalismo di «Peter Hujar’s Day» ci ricorda che attraverso le sue immagini Hujar rivelava sé stesso e molto altro. Nel catalogo della mostra «Peter Hujar: Speed of Life» (2018) Joel Smith, scrisse che «la cifra stilistica della sua arte è quella di dedicare un’attenzione da ritrattista a soggetti che la sfidano». Smith citava inoltre le parole dello stesso Hujar: «Quello che faccio non è diverso da ciò che hanno fatto Julia Margaret Cameron o Mathew Brady… Compongo l’immagine nella macchina fotografica…e la stampo. Deve essere bella». E ci è riuscito. Sachs e i suoi attori ampliano la sua eredità, rendendo straordinariamente godibile quella che potrebbe sembrare solo una nota a piè di pagina nella sua storia.
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Gli attori Ben Whishaw (Peter Hujar) e Rebecca Hall (Linda Rosenkrantz) in un fotogramma del film «Peter Hujar’s Day» (2025). Cortesia del Sundance Institute
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