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Una fotografia dalla serie «Champions» (2023) di Bastiaan Woudt

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Una fotografia dalla serie «Champions» (2023) di Bastiaan Woudt

25 giovani campioni zambiani contro l’Aids a Amsterdam

Bastiaan Woudt racconta come ha trasformato ragazzi africani in re e regine

Anna Aglietta

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In occasione della pubblicazione del suo ultimo libro, Champions, abbiamo incontrato Bastiaan Woudt per parlare dei suoi ultimi progetti, che includono un’escursione nel mondo dell’intelligenza artificiale, e del suo approccio alla fotografia.

Un autodidatta con una formazione nel settore alberghiero, Woudt si è rapidamente distinto per il suo stile unico, esponendo i suoi ritratti monumentali in bianco e nero in mostre e festival internazionali e sperimentando nuove tecniche e approcci. Inoltre, l’artista olandese ha fondato una casa editoriale dedicata alla pubblicazione di libri di fotografia (tra cui quelli di Woudt stesso) e ha lanciato una rivista a tema.

Prima di iniziare, perché la scelta di scattare sempre in bianco e nero?
Per me, il bianco e nero spoglia l’immagine della realtà. Quando scatto delle fotografie non cerco una rappresentazione della realtà, ma creo immagini che possono essere interpretate in molti modi. Togliere il colore significa togliere un po' di distrazione; permette di concentrarsi su cose diverse, sulla consistenza, sulle linee, sullo spazio negativo.

È appena uscito il suo ultimo libro, Champions, che affronta la tematica dell’Aids in Zambia. Com’è nato il progetto?
L’anno scorso ho deciso di collaborare con l’associazione non profit Orange Babies, che stava celebrando il suo 25mo anniversario di lotta contro l’Hiv e l’Aids. Era l’opportunità perfetta per creare un progetto artistico intorno a una delle loro attività in Zambia. Abbiamo scelto il progetto «Champions»: i Champions sono 25 giovani adulti formati da Orange Babies per sensibilizzare le comunità locali sull’Hiv e l’Aids, per parlarne, per parlare della prevenzione e dell’importanza di proteggersi sessualmente. Quello che ho voluto fare è stato ritrarre questi giovani adulti come campioni, come re e regine all'interno delle loro comunità. Oltre a questi ragazzi, ho fotografato anche i bambini di una scuola, la Pa Kachele School, e alcuni anziani di un rifugio per donne, entrambi sostenuti da Orange Babies, oltre ai paesaggi e agli spazi, che mi hanno permesso di contestualizzare la storia. 

Aveva già un’idea di come avrebbe costruito i ritratti?
Quando iniziamo un progetto fotografico, non abbiamo un piano preconcetto o delle bozze. Ci limitiamo a portare molti oggetti e tessuti e a creare le immagini sul posto. Con i «Campioni», abbiamo portato varie cose da Amsterdam (in corso fino al primo febbraio 2025 la mostra «Champions-Bastiaan Woudt» alla Bildhalle Amsterdam, Ndr) per creare uno spazio simile a uno studio in Zambia, li abbiamo invitati a unirsi a noi e abbiamo creato le immagini insieme. Per loro è stato quasi come far parte di uno spettacolo teatrale.

Come ha iniziato a implicarsi nei progetti a sfondo sociale? E in che modo la fotografia può avere un impatto per tematiche quali l’Aids?
Tutto è iniziato quando, nel 2018, ho realizzato un progetto con un’altra non profit (Marie-Stella-Maris), che si occupa di progetti di acqua potabile. È stata la prima volta che ho potuto usare il mio talento per la fotografia per sensibilizzare e raccogliere fondi per un’organizzazione a scopo non lucrativo e per aiutare delle persone. Attraverso la fotografia, possiamo raccontare una storia e sensibilizzare l’opinione pubblica. Inoltre, per me è molto importante, oltre a raccontare, anche raccogliere fondi per cercare di risolvere il problema. Per esempio, quando il progetto di «Champions» è terminato, abbiamo organizzato una serata di beneficenza e abbiamo venduto tutte le opere in mostra, raccogliendo 120mila euro per Orange Babies. Poi, nei sei mesi successivi, abbiamo donato altre opere, grazie alle quali finora sono stati raccolti 200mila euro. E, in futuro, il 10% di tutte le opere del progetto che saranno acquistate, sarà sempre devoluto all’associazione.

Il suo nuovo progetto, «Echo from Beyond», ha invece un’origine completamente diversa e si basa sull’utilizzo dell’intelligenza artificiale. Com’è nata l’idea?
È ormai da tre anni che sono interessato all’IA, cerco sempre di essere all’avanguardia con le nuove tecnologie. L’IA è interessante perché è un modo completamente nuovo di fare immagini. Quando scatto una fotografia, ho sempre bisogno di un soggetto, che sia un paesaggio, una natura morta o un ritratto. Ora, con l’IA, non ho bisogno di un soggetto davanti a me e questo apre un mondo infinito di creatività. Quando lavoro con l’IA, per prima cosa, scrivo le idee che ho e le uso come input. Poi vado nel mio archivio fotografico e, tra le immagini degli ultimi 14 anni, ne seleziono alcune che unisco a quelle create con l’IA. In questo modo, tutte le immagini che creo sono sempre collegate alla mia fotografia, ma alla fine ottengo opere d’arte che non avrei potuto realizzare altrimenti.

E crede che, a lungo termine, l’IA e la fotografia possano coesistere?
Penso che esisteranno sempre fianco a fianco. Per me, l’IA può migliorare il mio lavoro artistico, ma non abbandonerò mai la fotografia. Credo però che rifiutare l’intelligenza artificiale, come fanno molti fotografi, sia un errore, bisogna cercare di abbracciarla e imparare da essa. Inoltre, per me è divertente, mi permette di sperimentare, non c’è pressione e, lungo il percorso, realizzo delle immagini di cui sono soddisfatto.

Una fotografia dalla serie «Champions» (2023) di Bastiaan Woudt

Anna Aglietta, 07 novembre 2024 | © Riproduzione riservata

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