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Gli operatori del patrimonio hanno recuperato a mano 20 tonnellate di pietre antiche dalle macerie di un muro della Grande Moschea di Omari, crollato sul bazar di al-Qissariya nella città di Gaza in un attacco aereo israeliano

Foto © Centre for Cultural Heritage Preservation

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Gli operatori del patrimonio hanno recuperato a mano 20 tonnellate di pietre antiche dalle macerie di un muro della Grande Moschea di Omari, crollato sul bazar di al-Qissariya nella città di Gaza in un attacco aereo israeliano

Foto © Centre for Cultural Heritage Preservation

A Gaza ci vorrà uno sforzo enorme per ricostruire il patrimonio culturale

Servono 260 milioni di euro per riparare e ricostruire i siti storici della Striscia distrutti, ma le incertezze politiche potrebbero scoraggiare i donatori internazionali. Intanto sono già in corso interventi di emergenza

Sarvy Geranpayeh

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Il Ministero palestinese del Turismo e delle Antichità (Mota) ha pubblicato all’inizio di febbraio un rapporto dettagliato sui danni e sui rischi relativi a 316 siti culturali nell’intera Striscia di Gaza, concludendo che 138 hanno subito gravi danni e che molti di questi sono ridotti in macerie. Il rapporto attribuisce il 71% della distruzione agli attacchi aerei e ai bombardamenti israeliani diretti, mentre a causare ulteriori danni sono state le demolizioni con i bulldozer e le incursioni dei carri armati. Redatto dal Centre for Cultural Heritage Preservation (Cchp), con il finanziamento del Cultural Heritage Fund del British Council e in collaborazione con il team Endangered Archaeology in the Middle East and North Africa (Eamena) dell’Università di Oxford, il documento fornisce una panoramica delle priorità, utili per pianificare gli interventi degli esperti.

Il rapporto stima che gli interventi di emergenza e mitigazione, descritti come fase uno, costerebbero circa 31,2 milioni di euro e richiederebbero dai 12 ai 18 mesi, mentre la piena ricostruzione costerebbe circa 261 milioni di euro e richiederebbe fino a otto anni. Nonostante i risultati poco incoraggianti, gli esperti del patrimonio palestinese stanno lavorando in emergenza per documentare, stabilizzare e rimuovere le macerie dai siti storici danneggiati, recuperare le porzioni antiche e mettere in sicurezza i monumenti culturali. Tuttavia, cresce la preoccupazione che le recenti dichiarazioni degli Stati Uniti sul trasferimento forzato dei palestinesi da Gaza ai Paesi vicini possano dissuadere eventuali donatori, di cui c’è enorme bisogno, dal sostenere gli sforzi di restauro. «Ci auguriamo che non sia così, ma queste dichiarazioni rischiano di ostacolare e influenzare negativamente i finanziamenti, ci ha spiegato Jehad Yasin, direttore generale degli scavi e dei musei del Mota. Vogliamo che gli Stati Uniti incoraggino la ricostruzione, non che la ostacolino, poiché esiste una responsabilità internazionale di assistenza nel processo di recupero e ricostruzione».

 

Monitoraggio remoto

Il rapporto, afferma Akram Lilja, capo del team del rapporto di valutazione dei danni del Cchp, ha attirato l’attenzione internazionale e gli esperti sono sempre più consapevoli dell’urgenza della situazione, «Abbiamo ricevuto l’interesse di molte organizzazioni internazionali desiderose di contribuire alla ricostruzione del patrimonio culturale di Gaza», dichiara Lilja dalla Svezia, dove si è trasferito dopo aver lasciato Gaza diversi anni fa. Ma, aggiunge, molti donatori stanno aspettando l’esito dei negoziati tra Israele e Hamas prima di impegnarsi a contribuire finanziariamente.

Il team di Lilja ha iniziato a valutare i danni già durante la guerra. Quando un sito era inaccessibile a causa delle operazioni militari, Eamena offriva assistenza esaminando da remoto immagini satellitari ad alta risoluzione. Michael Fradley, ricercatore associato presso l’Eamena, avverte che alcuni dati potrebbero essere già obsoleti a causa della rapida evoluzione della situazione sul campo. «Ora che c’è un cessate il fuoco, poiché le persone stanno ripulendo i siti, cosa del tutto comprensibile, è probabile che i danni aumentino. Ci sono anche problemi con gli ordigni inesplosi e la possibile contaminazione da altre fonti», afferma Fradley, sottolineando la necessità di un monitoraggio remoto continuo.Tuttavia, avverte che il monitoraggio di Gaza rimane un’operazione costosa e sono necessari maggiori finanziamenti. Fino al 2020, un divieto statunitense ha limitato l’accesso alle immagini satellitari dei territori palestinesi, con Fradley che ha svolto un ruolo chiave nel ribaltare il divieto dopo anni di sforzi. Tuttavia, le immagini gratuite di alta qualità rimangono limitate rispetto ad altre regioni coperte da Eamena, e l’organizzazione spesso deve pagarle.

 

Valutazioni del sito

Mahmoud Balawi, responsabile della conservazione presso l’Iwan Center for Cultural Heritage ed esperto culturale per il Cchp, avverte che i ritardi politici stanno ostacolando gli sforzi per salvare i siti culturali, rischiando di causare danni irreversibili al patrimonio palestinese: «Dobbiamo iniziare il nostro intervento urgente perché il patrimonio non può aspettare, la cultura non può aspettare», dichiara da Gaza, spiegando che, nonostante l’organizzazione abbia un piano, gli sforzi sono complicati dalla mancanza di fondi e dalla carenza di personale qualificato con esperienza di lavoro in siti storici. Balawi sottolinea che il Ministero del Turismo palestinese ha raccolto le informazioni per il suo rapporto con risorse limitate, in condizioni difficili e spesso pericolose. 

Lo scorso dicembre, Hamoudeh Al-Duhdar, ex direttore dei siti e degli scavi presso il Mota ed esperto di beni culturali ora consulente del Cchp, ha guidato i lavori condotti in emergenza presso il bazar al-Qissariya di Gaza City, finanziati dal Cultural Emergency Response (Cer) con sede nei Paesi Bassi. L’impegno è stato fondamentale per proteggere il sito da ulteriori danni causati dalle intemperie, in particolare dalle infiltrazioni di acqua piovana nelle vecchie strutture di fango, che potrebbero portare al loro crollo. Il ritorno dei negozianti al bazar, nonostante l’instabilità, ha ulteriormente confermato l’urgenza dell’intervento.

Situato accanto alla Grande Moschea di Omari, risalente al VII secolo, il bazar è essenziale per il sostentamento della comunità cristiana di Gaza. Ha subito ulteriori danni quando durante un bombardamento un muro della moschea è crollato sull’area. Il team di Al-Duhdar ha rimosso circa 240 tonnellate di macerie, tra cui 20 tonnellate di resti archeologici ora recuperati, ha stabilizzato le strutture e protetto elementi storici chiave. Ha anche guidato lo United Nations Mine Action Service alla moschea, dove ha rimosso due missili inesplosi.

Al-Duhdar sta attualmente supervisionando i lavori di emergenza al Palazzo Pasha, un monumento dell’epoca mamelucca del XIII secolo, grazie ai finanziamenti della Fondazione Aliph con sede in Svizzera . Il palazzo, restaurato dal Mota e trasformato in Museo archeologico, è stato gravemente danneggiato nel 2024 da un attacco israeliano, a causa del quale sono anche rimasti uccisi la moglie e i tre figli di Sayed Abdulrazeq, un funzionario del museo che vi aveva trasferito la famiglia, certo che l’istituzione sarebbe stata protetta dagli attacchi ai sensi della Convenzione dell’Aia del 1954. Lilja afferma che una prima ispezione del sito non ha rivelato tracce delle circa 60 scatole di manufatti che vi erano conservate. Un’indagine più approfondita sarà condotta man mano che le macerie saranno rimosse.

 

 

Patrimonio palestinese

Mentre il presidente degli Stati Uniti Donald Trump ha chiesto ad altri di ricostruire Gaza, i palestinesi affermano di essere gli unici a poter guidare lo sforzo per preservare il loro patrimonio culturale: «In tutto il mondo, afferma Al-Duhdar, Stati Uniti compresi, le popolazioni indigene sono le uniche a poter proteggere la loro cultura», .

«C’è stata a lungo una riluttanza a sostenere il patrimonio in Palestina, anche prima delle recenti osservazioni degli Stati Uniti, rendendo sempre più difficile mobilitare finanziamenti in un settore già sottofinanziato, confessa Sanne Letschert, direttrice del Cultural Emergency Response. Ma anche se l’esitazione dei donatori in alcuni casi persiste, noi non ci scoraggiamo». Letschert sottolinea che dall’inizio della guerra, il Cer ha stanziato 212mila euro per quattro progetti. Tra questi, l’assistenza ai professionisti del patrimonio e il finanziamento di lavori di emergenza da parte del Cchp nel Castello di Younis Al-Nawruzi, risalente al XIV secolo e gravemente danneggiato da un attacco aereo israeliano nel 2024.

Dopo la pubblicazione del rapporto sui danni e la valutazione, Letschert afferma che il CER ha definito le esigenze più urgenti e sta lavorando per garantire i finanziamenti. Sandra Bialystok, direttrice delle comunicazioni e delle partnership di Aliph, afferma: «Prima di avviare progetti di restauro completi, stiamo aspettando di vedere come si evolverà l’attuale cessate il fuoco, ma anche di avere un quadro più completo dei danni sul posto». L’anno scorso, Aliph ha creato un fondo di emergenza da un milione di dollari, ora utilizzato per sostenere progetti sul campo, tra cui la stabilizzazione della Grande Moschea di Omari, del Palazzo Al-Saqqa e del cortile storico di Dar-Farah. Aliph sta inoltre sostenendo la messa in sicurezza di tre importanti siti archeologici: l’antico sito del porto di Anthedon (il primo porto marittimo conosciuto di Gaza, che è anche nella Tentative Heritage List dell’Unesco), la chiesa bizantina di Jabalia e il cimitero romano, a ovest di Jabalia, dove negli ultimi anni sono stati scoperti importanti reperti archeologici. Fradley conferma che le immagini satellitari mostrano la distruzione e il pesante bombardamento degli edifici intorno al cimitero, insieme a un intenso traffico di veicoli attraverso il sito. Ma aggiunge che, come per qualsiasi sito archeologico, i depositi che si trovano sotto terra potrebbero essere ancora intatti.

 

L’inclusione a gennaio del tessuto urbano storico di Gaza nel World Monuments Watch 2025, tra i 25 siti a rischio selezionati su oltre 200 candidature, potrebbe aumentare la consapevolezza e il sostegno al patrimonio culturale dell’area. Spiega Jonathan Bell, vicepresidente dei programmi del World Monuments Fund (Wmf): «Il patrimonio culturale di Gaza risale a circa 12.000 anni fa, con testimonianze che risalgono al Neolitico (10.000 a.C.) e una ricchezza di siti riconosciuti a livello internazionale risalenti ai periodi neoassiro, greco e romano, bizantino, mamelucco e ottomano. Il World Monuments Watch ha contribuito ad avviare importanti discussioni sulla necessità di una protezione attiva ora e di un attento restauro come parte di qualsiasi futuro sforzo di recupero». Bell conferma che il Wmf sta lavorando con diversi partner, tra cui Riwaq, un’organizzazione palestinese per la conservazione del patrimonio architettonico, per esaminare i documenti d’archivio e stabilire delle linee guida per preservare il carattere storico di Gaza per i futuri sforzi di recupero. Tuttavia, mentre è in corso un’importante raccolta e salvaguardia dei dati, cresce la preoccupazione per la mancanza di gestione del territorio. Fradley dice: «Sarà l’Autorità Palestinese? Sarà Donald Trump? Oggi non c’è un soggetto centralizzato a cui possiamo fornire le informazioni che raccogliamo».

Sarvy Geranpayeh, 13 marzo 2025 | © Riproduzione riservata

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