Barbara Antonetto
Leggi i suoi articoli«Il 23 giugno dello scorso anno abbiamo festeggiato: eravamo arrivati ottavi su 1.200 progetti presentati!»: così ha esordito il professore ordinario di Restauro presso lo Iuav di Venezia Paolo Faccio, ideatore e coordinatore del progetto di conservazione e valorizzazione delle parti esterne della Villa di Maser che ha ottenuto 2 milioni di euro di fondi del Pnrr (Unione Europea, NextGeneration Eu) e che verrà portato a compimento entro l’ottobre 2024.
La Villa è celebre per il progetto architettonico di Andrea Palladio e per lo straordinario ciclo di affreschi di Paolo Veronese, ma non meno importante è il fatto che sia stata concepita in un rapporto di connessione quasi simbiotica con i 200 ettari di verde circostanti, e soprattutto, fatto del tutto eccezionale, che ancora li conservi.
Fra le opere più note di Palladio, la Villa di Maser è infatti una delle più significative residenze di campagna del Rinascimento italiano, massima espressione della collaborazione tra architetto e committenti. Costruita intorno al 1554-55 su una casa dominicale preesistente, era destinata alla gestione delle proprietà agricole di due esponenti di spicco della nobiltà veneziana, i fratelli Daniele e Marcantonio Barbaro.
La connotazione umanistica della Villa era legata agli interessi antiquari dei Barbaro, intendenti di arte e di architettura, e in particolare di Daniele, autore della prima edizione in volgare del De architectura di Vitruvio (I secolo a.C.), illustrata con disegni di Palladio (1556). Le meridiane alle estremità delle barchesse, riconducibili agli interessi scientifici di Daniele, autore del trattato De Horologiis, ribadiscono il connubio tra ingegno umano e mondo naturale scandendo con il ciclo solare il tempo dell’uomo e il passare delle stagioni.
Così la descrive Palladio nei Quattro Libri dell’Architettura: «La facciata della casa del padrone ha quattro colonne di ordine ionico, il capitello di quelle degli angoli fa fronte da due parti (…). Quella parte della fabbrica, che esce alquanto in fuori, ha due ordini di stanze, il piano di quelle di sopra è a pari del piano del cortile di dietro, ove è tagliata nel monte rincontro alla casa una fontana con infiniti ornamenti di stucco e di pittura». La relazione tra architettura e paesaggio, e più in generale tra artificio e natura, è il tema che sottende il progetto e che si riflette nel ricco apparato decorativo del Ninfeo e nel sontuoso ciclo di affreschi dipinto (in gran parte in prima persona) da Veronese tra il 1559 e il 1561: 900 metri quadrati, il più importante lavoro ad affresco del pittore.
La funzione agricola della villa è rimarcata dalle barchesse, dalla peschiera e dalle colombaie («dall’una, e l’altra parte ci sono loggie, le quali nell’estremità hanno due colombare, e sotto quelle vi sono luoghi da fare i vini, e le stalle, e gli altri luoghi per l’uso di Villa») e dal frutteto «grandissimo, e pieno di frutti eccellentissimi e di diverse selvaticine». Lo stesso Palladio, sempre nei Quattro Libri dell’Architettura, illustra i principi della vita in campagna, produttiva e allo stesso tempo ristoratrice dello spirito: «Il gentiluomo coltiverà i possedimenti con industria e arte dell’agricoltura», ma potrà anche «quietamente (…) attendere agli studi delle lettere et alla contemplatione» come usavano fare «gli antichi savi».
L’elemento caratterizzante il progetto era l’acqua, tanto che il Ninfeo retrostante alla Villa non era una quinta scenografica, come potrebbe far pensare la ricchezza delle sue decorazioni, ma aveva una funzione imprescindibile di raccolta, convoglio e ridistribuzione dell’acqua a uso della casa e dell’irrigazione del giardino e degli orti: «Ove è tagliata nel monte rincontro alla casa una fontana con infiniti ornamenti di stucco, e di pittura». È il Ninfeo che domina architettonicamente e funzionalmente il complicato sistema idraulico della villa: fa da barriera all’acqua e la distribuisce per la funzionalità della casa e per irrigare orti e giardini.
L’intervento conservativo ridonerà la funzionalità di questa incredibile macchina idraulica con il recupero del sistema di approvvigionamento della fontana e restaurerà l’apparato decorativo, con modalità e materiali sostenibili. La conservazione programmata sarà gestita con un particolare brevetto che garantirà opere manutentive solo quando necessarie.
Il sistema delle acque è funzionale a sancire il tutt’uno tra architettura e paesaggio: la posizione dell’edificio lungo un declivio, caso unico tra i progetti palladiani, fu genialmente sfruttata per l’impianto idrico e per connettere il piano nobile con lo scenografico emiciclo del ninfeo scavato nel colle sul retro. «Fa quella fonte un laghetto, che serve per peschiera: da questo luogo partitasi l’acqua scorre nella cucina e da poi irrigati i giardini, che sono dalla destra e sinistra parte della strada, la quale pian piano scendendo conduce alla fabrica; fa due peschiere co i loro beveratori sopra la strada commune; d’onde partitasi adacqua il Bruolo».
Su committenza dei fratelli Barbaro, Palladio concepì un’azienda agricola che fosse anche un luogo di residenza di tale bellezza da ritemprare lo spirito. È dunque molto importante dal punto di vista non solo paesaggistico, ma anche storico artistico, valorizzare questa vocazione originaria intervenendo sui 200 ettari di verde per poterlo presentare ai visitatori nelle stesse ottime condizioni conservative in cui già si possono ammirare l’architettura e gli affreschi.
Annachiara Vendramin, progettista e direttore dei lavori relativi alla componente vegetale, spiega: «Per un agronomo e paesaggista è un privilegio poter contribuire alla rinascita della Villa di Maser attraverso la valorizzazione delle componenti arboree e alla reintroduzione di fiori e piante rari: il giardino storico sarà riqualificato in un’ottica di sostenibilità ambientale, le pavimentazioni saranno restaurate, il frutteto sarà recuperato con la messa a dimora di piante di frutti antichi e di piante officinali; il boschetto retrostante sarà riqualificato. Convivranno due linguaggi, quello voluto da Palladio e quello impresso negli anni Trenta del secolo scorso dall’architetto Tomaso Buzzi e da Maria Teresa Parpagliolo Shephard per volere della proprietaria di allora, Marina Volpi di Misurata. In sua memoria i vasi di terracotta riporteranno le cifre MM, esattamente come un tempo».
Tutte le aeree verdi che non si limitano a circondare la villa, ma che sono parte costitutiva e sostanziale dell’insieme villa-paesaggio, verranno rese fruibili attraverso interventi di rimessa in forma di quanto già esiste, come i due giardini sul lato ovest dove torneranno i fiori secondo la tradizione cinque-seicentesca. Il progetto di restauro del giardino ha come obiettivo quello di restituire leggibilità alle sue varie componenti: lo spazio a prato fino alla strada pubblica, il giardino delle rose, il boschetto retrostante il ninfeo, il giardino segreto ritagliato tra l’edificio principale e il colle, il giardino già degli agrumi e il Brolo a est.
Nel boschetto che fa da sfondo alla Villa e al suo Ninfeo la componente arborea sarà curata, potata e in alcuni casi sostituita, mentre il resto della vegetazione esistente verrà esclusivamente sottoposta a cura (potature, rimonda del secco, concimazioni). Il giardino delle rose, disegnato da Tomaso Buzzi con quadrati alternati di erba e ciottoli in cui sono posti i putti inizialmente collocati lungo il muretto d’ingresso, verrà restaurato risolvendo i problemi d’invasione del muschio e di sconnessione di alcuni cordoli in cotto che ne definiscono il disegno. I putti verranno disposti secondo il disegno originario.
Nel giardino la storia si è stratificata e ha sovrapposto vari interventi: quello palladiano, la sistemazione settecentesca, gli interventi del XIX secolo (quando nel 1850 la proprietà risultava della famiglia Giacomelli) fino agli interventi degli anni Trenta del Novecento, quando la nuova proprietaria Marina Volpi e l’architetto lombardo Tomaso Buzzi ridisegnarono alcuni ambiti strategici. In quell’occasione venne effettuata un’operazione di semplificazione degli elementi che nell’Ottocento avevano contaminato il disegno originario.
A lavori ultimati il giardino riacquisterà una complessità vegetale arborea, arbustiva e dei fiori oggi attenuata. Nel bosco retrostante il Ninfeo verranno reintrodotte importanti specie vegetali quali la Zelkova carpinifolia, la Parrotia persica e il Quercus suber, sotto ai quali torneranno masse di arbusti sempreverdi e da fiore. Nei prati invece si dissemineranno dei narcisi, favorendone al contempo la moltiplicazione. Nel Brolo a est, secondo una tradizione storica che ha connotato tra ’500 e ’800 questi spazi successivamente utilizzati come galoppatoio, torneranno i frutti antichi e piante officinali e aromatiche. Le serre dall’elegante prospetto di esili colonnine metalliche e chiusure in vetro soffiato introdotte negli anni Trenta da Tomaso Buzzi verranno restaurate e torneranno a ricoverare l’alloggiamento di piante di agrumi e fiori per il rinnovo delle aiuole fiorite del parco.
Davanti alla serra il Giardino degli agrumi era definito su tre lati da spalliere e affiancava ai fiori la coltivazione di aranci, limoni e cedri. Era quasi un giardino segreto, cinto da mura con un accesso specifico dotato di cancello sia dalla Villa che dalla campagna, come peraltro era in voga nei maggiori giardini della Roma del Cinquecento: da Villa Medici a Villa Borghese agli Orti Farnesiani. A sud del Giardino degli agrumi, che verrà ripristinato come tale, si trovava un orto a emiciclo, mentre sul colle erano presenti alberi da frutta e non, oltre a terreni a prativo e arativo. Il cantiere opererà anche sulle architetture vegetali quali la carpinata e la galleria presente nel Brolo, che diventerà di rose e uva.
All’ingresso del complesso si trova l’edificio dell’ex scuderia, che diverrà nella parte antistante biglietteria e front office. La parte rimanente, conservando gli stalli dei cavalli e il locale delle selle e dei finimenti, ospiterà piccoli eventi e un luogo di vendita per prodotti dell’azienda agricola.
Vittorio Dalle Ore, il proprietario della Villa, che con la sua attività di produttore di vino «fa vivere» nel migliore dei modi il complesso, sente la responsabilità della conservazione e la mette in pratica con estrema sensibilità e rispetto: «Vivere qui è un sogno che si rinnova ogni giorno; nelle giornate terse si vede il Campanile di San Marco e la mia gioia è poter condividere con gli amici e i visitatori tale bellezza».
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