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Ritratto di Gianfranco Baruchello

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Ritratto di Gianfranco Baruchello

Addio a Gianfranco Baruchello

Ci lascia a 98 anni l’artista dei «minuscoli disegni», sperimentatore, visionario, ecologista ante litteram

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Redazione GdA

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Ci ha lasciato Gianfranco Baruchello, artista concettuale oltre l’arte, tra la parola e il pensiero. Era nato a Livorno nel 1924. Conseguita la laurea in giurisprudenza, dalla fine degli anni Cinquanta si dedica alla pittura. Sin dai primi anni ’60, complice il suo background, sviluppa una delle pratiche artistiche più sperimentali del panorama italiano, mescolando pittura, installazione, assemblaggi e medium come film, fotografia e puro audio, espandendo poi la sua ricerca visiva oltre le convenzioni linguistiche o stilistiche dell’epoca, introducendo nelle opere strumenti di lavoro, istanze e ricerche a cavallo tra antropologia ed economia, spesso come supporti teorici a forme di analisi critica della nascente e prosperante società dei consumi.

Dopo un’esperienza professionale in una società di ricerca e produzione chimico-biologica da lui stesso fondata, dal 1959 si dedica a una vastissima produzione artistica, a partire dai i quadri «Altre Tracce» (tele bianche quasi marchiate da grovigli di linee nere) e una serie di oggetti assemblati quali i «Cimiteri d’opinione» (1962), con evidenti richiami al Nouveau Réalisme. Partecipe quindi della contestazione culturale e politica delle avanguardie degli anni ’60, attraversa con un approccio personalissimo e originale molte correnti formali tra cui l’Espressionismo astratto informale, il Neodada, arrivando, con un percorso inverso, ad una forma di figurazione.

Nei primi anni ’70 si cimenta negli esperimenti con l’immagine elettronica e poi dal 1973 si trasferisce in campagna e dà vita all’operazione Agricola Cornelia S.p.A., una azienda agricola a tutti gli effetti «con lo scopo sociale di coltivare la terra». L’azienda arriva a coltivare anche terreni confinanti, in un paesaggio ormai preda della speculazione edilizia, imprimendo a questa attività un valore estetico, politico ed artistico. Nel 1985 avvia il progetto di uno spazio-giardino attraverso la realizzazione concreta di un enorme prato, cui si lega un’imponente opera che ha per tema la riflessione sul «giardino» come luogo dove liberare pensiero ed emozioni.

Così, in un flusso davvero inesauribile di combinazioni, si svolgono una serie di esperimti formali, che oggi alimentano una produzione tra le più varie della ricerca visuale di questi ultimi sessant’anni. Molti dei lavori più noti riportano microscopici ma complessi racconti, composti da simbologie stratificate soggette e diversi livelli di lettura: sono mappature del pensiero e della poetica di Baruchello che raccontano di una vita di lunga ricerca artistica e sociale. In un certo qual senso tutta la sua arte è una riflessione sul valore delle cose, scevra da ideologie dominanti, da schemi tradizionali o da convenzioni sociali.

È viva in questo senso in lui la lezione di Marchel Duchamp, non solo per l’esperienza, comunque ri-applicata, del ready-made, ma per l’approccio all’arte e alla creazione come un momento cruciale ma allo stesso tempo «normale», in cui introdurre un’attitudine genuinamente e onestamente dissacrante. Come se fossero le cose di apparente poco valore quelle a cui porgere attenzione, in un tentativo di costante normalizzazione e diffusione anti elitaria dell’intero sistema della cultura.

Nel 2016 aveva inaugurato la propria fondazione. Ne aveva scritto per noi Federico Castelli Gattinara, in un testo che riportiamo qui:

Lo spazio della Fondazione Baruchello in via del Vascello 35, a Monteverde Vecchio, apre per la prima volta al pubblico con l’inaugurazione, domani alle ore 19, di «Start up. Quattro Agenzie per la produzione del possibile», da un’idea dello stesso Gianfranco Baruchello, a cura di Carla Subrizi, la sua compagna, e Maria Alicata. Alla sede storica nel parco di Veio, a nord di Roma, la Fondazione nata nel 1998 per volontà di Baruchello e Subrizi aggiunge un nuovo capitolo tutto cittadino che si profila di notevole vivacità, 300 metri quadrati dedicati a mostre, incontri, convegni e altro. Si parte e si va avanti fino al 28 aprile con questo progetto tipicamente concettuale, una sorta di ufficio «per la promozione e la diffusione di proposte visionarie che intendono innescare ulteriori dinamiche economiche e di relazione, e ridefinire il rapporto tra il valore d’uso e il valore di scambio», come si legge nella presentazione.

La mostra si articola in quattro ambienti ognuno con un’agenzia, ogni agenzia con un proprio obiettivo da perseguire nella pratica, come una moderna start up. Un obiettivo aperto sul mondo, legato profondamente alla natura, tratti tipici della ricerca di Baruchello: «Un metro cubo di terra-Earth Exchange», ovvero la promozione dello scambio e successivo rimescolamento tra la terra della sede della Fondazione nel parco di Veio e quella da ogni parte del mondo, progetto avviato già due ani fa; «Adozione della pecora», ovvero la possibilità di diventare pastori virtuali attraverso l’adozione di una pecora portatile in legno, una sagoma piatta in scala reale, timbrata e numerata; «Oggetti anomali», per la creazione dei quali è già stato invitato un primo gruppo di artisti, tra cui Maria Thereza Alvez, Massimo Bartolini, Elisabetta Benassi, Jimmie Durham, Bruna Esposito, Emilio Fantin, Claire Fontaine, Felice Levini, HH Lim, Rogelio López Cuenca, Antoni Muntadas, Leonardo Petrucci, Cesare Pietroiusti, Santo Tolone, Carlo Gabriele Tribbioli e Cesare Viel; «Produzione di utopie», con un esperienza immersiva nel cuore di un fitto bosco simulato in una sala al piano inferiore. E ancora incontri e workshop con artisti, poeti, scrittori, filosofi, su temi quali utopia, plusvalori e disvalori dell’economia, ruolo della pecora nella storia dell’arte, pastorizia, sopravvivenza e capitalismo. Un fil rouge duchampiano, artista con cui Baruchello ha avuto una stretta amicizia, lega il tutto, tra ironia, divertimento e dissacrazione.

Redazione GdA, 14 gennaio 2023 | © Riproduzione riservata

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