La Redazione
Leggi i suoi articoliMentre è attualmente in corso la retrospettiva a lei dedicata presso la Haus der Kunst di Monaco (fino al 30 ottobre), si apprende della morte di Rebecca Horn (Michelstadt, Germania, 24 marzo 1944-6 settembre 2024). Il suo gallerista americano Sean Kelly è tra i primi ad annunciare, tramite un suo profilo social, la notizia scrivendo della perdita di «una delle artiste più importanti della sua generazione: alla fine degli anni Sessanta Rebecca Horn ha iniziato a creare un’opera costituita da un flusso crescente di performance, film, sculture, installazioni spaziali, disegni e fotografie. L’essenza del suo immaginario nasce dall’enorme precisione della funzionalità fisica e tecnica che utilizzava per mettere in scena le sue opere ogni volta all’interno di uno spazio particolare. Nelle sue prime performance, che incorporavano estensioni del corpo simili a macchine, maschere e oggetti piumati, Horn ha esplorato l’equilibrio tra corpo e spazio. A queste sono seguite le sue tipiche sculture cinetiche e le grandi installazioni site specific, cariche di importanza politica e storica. Sculture dinamiche che incorporano violini, valigie, manganelli, scale, pianoforti, ventagli di piume e metronomi, si muovono al di là della loro materialità definita, trasponendosi in metafore sempre diverse che toccano l’immaginario mitico, storico, letterario e spirituale».
Horn, che aveva compiuto lo scorso marzo ottant’anni, aveva studiato alla Hochschule für Bildende Künste di Amburgo e alla St Martins School of Art di Londra. Da adolescente aveva contratto la tubercolosi e gran parte del suo lavoro si basa infatti sulla malattia. Aveva iniziato la sua carriera negli anni ’70 con pitture fotografiche e installazioni in cui utilizzava spesso il proprio corpo. «Infusa di poesia e dolore, la produzione della Horn gioca con le possibilità e i limiti del corpo umano», aveva scritto la critica Lauren Mechling lo scorso anno. La simbiosi tra uomo e macchina e il continuo riferimento al mito ricorrevano in opere dal sapore surreale in cui lei amava inserire anche strumenti musicali meccanici, come pianoforti e violini. Una serie fondamentale, Personal Art (1968-72), comprendeva i primi esempi delle sue tute per la modificazione del corpo fatte di bende, cinture e piume che sono state descritte come «sculture indossabili».
Parallelamente alle installazioni e alle performance, aggiunge la galleria Sean Kelly, Horn per tutta la sua carriera ha mantenuto una ricca pratica di disegno: «A volte i suoi disegni sono stati coevi al suo lavoro con altri media, come nel caso dei disegni che documentano proposte scultoree. I disegni “Bodylandscape”, realizzati tra il 2003 e il 2015, traducono l'interesse per l'esplorazione dei limiti del corpo presente nelle sue sculture e performance nel mezzo del disegno».
Artista trasversale e sensibile, si è cimentata anche come regista d’opera, mettendo in scena l’«Elektra» di Richard Strauss a Wiesbaden. Invitata più volte a partecipare a Documenta, durante la sua carriera Rebecca Horn ha ricevuto premi artistici importanti come il Kaiserring della città di Goslar e il Praemium Imperiale del Giappone.
In un'intervista del 1994 alla rivista «Frieze», Horn dichiarava: «I tabù cambiano enormemente all'interno di ogni generazione, quindi forse i miei sono un po' diversi dai vostri. Tutto è possibile, se lo si vuole abbastanza. Ci sono diversi limiti. Bisogna camminare vicino al limite. Genet, Buñuel, Pasolini... Sono persone che sono andate al limite. Questo è importante, anche se si viene attaccati per questo».
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