Anny Shaw
Leggi i suoi articoliÈ scomparso ieri nella sua casa di New York lo scultore Richard Serra, a lungo acclamato per il suo lavoro stimolante e innovativo, audace e monumentale, che mette l’accento sulla la materialità e l’impegno tra lo spettatore, il luogo e l’opera. Nei primi anni Sessanta Serra e gli artisti minimalisti della sua generazione si sono rivolti a materiali industriali non convenzionali, iniziando ad accentuare le proprietà fisiche della loro arte. Nel tempo, Serra ha ampliato il suo approccio spaziale e temporale alla scultura e si è concentrato soprattutto su lavori di grandi dimensioni, tra cui molte opere site specific.
Nato a San Francisco nel 1938, fin da bambino Serra è stato a contatto con materiali come l’acciaio industriale laminato a freddo. Il padre, emigrato dalla Spagna, lavorava come montatore di tubi in un cantiere navale; la madre era figlia di immigrati ebrei di Odessa. In un’intervista del 2001 con l’ex giornalista e conduttore di talk show Charlie Rose, Serra ha raccontato che suo padre lo portò in cantiere il giorno del suo quarto compleanno per assistere al varo di una nave. Fu in quella tenera età che Serra ebbe il sentore che «un oggetto così pesante potesse diventare leggero, che quella quantità di stazza potesse diventare lirica».
Le sue opere in acciaio ossidato gli sono valse il riconoscimento di «miglior scultore vivente» e sono ospitate in importanti collezioni di tutto il mondo, tra cui il Guggenheim di Bilbao, dove nella sala principale troneggia la monumentale «The Matter of Time» (2005), di 1.034 tonnellate. Altre sculture sono state commissionate e create per spazi esterni: il deserto di Dukhan in Qatar, le piazze di Londra e New York e la cima di una montagna artificiale di rifiuti minerari a Essen, nella Germania centrale, tra i tanti.
Scultore fino in fondo, Serra aveva in un primo momento studiato letteratura inglese all’Università della California a Santa Barbara, lavorando nelle acciaierie per finanziarsi gli studi. Fu uno dei suoi professori di letteratura, dopo aver visto i suoi disegni, a suggerirgli di studiare belle arti. Serra ottenne così una borsa di studio per Yale, dove si confrontò con pittori come Brice Marden, Chuck Close, Robert Mangold e Nancy Graves, con cui si sposò.
Dopo un periodo a Parigi, dove visita quasi quotidianamente lo studio ricostruito di Constantin Brâncuși, Serra si stabilisce a New York. Qui inizia a sperimentare altri materiali, realizzando sculture in gomma e piombo fuso. Nel 1966 attira l’attenzione del gallerista Leo Castelli, anche se Serra si rifiuta di realizzare opere facilmente vendibili, spingendo invece per pezzi sempre più grandi. L’artista rifiuta inoltre di affiliarsi a un movimento particolare, emergendo sulla scia del Minimalismo.
Nonostante la sua statura e il suo successo, con la vittoria del Leone d’Oro alla carriera alla Biennale di Venezia nel 2001, sul mercato delle aste Serra non ha mai raggiunto vette stratosferiche, con una quotazione massima di 4,3 milioni di dollari, il che non sorprende data la natura ingombrante della sua pratica.
Anche la sua carriera non è stata esente da controversie. Nel 1975 al Walker Art Center di Minneapolis un addetto al montaggio rimase schiacciato a morte da un pezzo di scultura, distaccatosi accidentalmente da un’opera che stava installando. Un’indagine chiarì che l’operatore della gru non aveva seguito correttamente le istruzioni, mettendo fine agli appelli di personalità del mondo dell’arte secondo i quali Serra avrebbe dovuto smettere di fare sculture. Non ebbe altrettanto successo nel 1985, quando una petizione pubblica per rimuovere da una piazza di New York l’arco inclinato, «Tilted Arc» (1981), finì in tribunale. I cittadini lamentavano il fatto che l’opera fosse un pugno in un occhio, oltreché un pericolo. Serra fece causa al Governo degli Stati Uniti ma perse e nel 1989 la scultura fu rimossa.
Tuttavia, tali opinioni erano in minoranza e la popolarità di Serra continuò a crescere. Oltre a vincere il Leone d’Oro a Venezia, nel corso della sua vita Serra ha ricevuto i più importanti premi dei governi giapponese, francese, tedesco e statunitense per il suo contributo alle arti. Come ha detto lui stesso: «Se si dà un contributo, è molto, molto difficile prevedere, in termini di perpetuità, che cosa durerà e cosa no. Diciamo che questo tipo di lavoro significa che c'è una possibilità».
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