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Redazione
Leggi i suoi articoliLa Paula Cooper Gallery ha annunciato con profonda tristezza la scomparsa di Robert Grosvenor, artista newyorkese nato nel 1937 e spentosi a Long Island (aveva 88 anni). Con la sua morte, avvenuta mercoledì 3 settembre, si chiude un capitolo della scultura contemporanea, quello di un artista che ha attraversato oltre sessant’anni di sperimentazione, ironia e incanto formale, senza mai piegarsi a mode o categorie.
Grosvenor è stato, come spesso si è detto, un «artista degli artisti». Schivo, inafferrabile, poco incline a spiegare il proprio lavoro o a mettersi al centro della scena, ha costruito una carriera singolare, evitando i riflettori ma influenzando generazioni intere. Le sue opere, strutture in bilico tra scultura, architettura e design, spesso concepite come interventi sullo spazio stesso, hanno esplorato la tensione tra leggerezza e peso, stabilità e precarietà, forma e funzione, lasciando che fosse lo spettatore a completare il significato.
Minimalista e oltre, Grosvenor ha partecipato a momenti chiave della storia dell’arte del secondo Novecento. La sua scultura «Transoxiana» (1965), esposta inizialmente nella galleria cooperativa Park Place e poi nella storica mostra «Primary Structures» al Jewish Museum (1966), fu tra le prime a definire il vocabolario del minimalismo americano. Ma Grosvenor ha sempre resistito alle definizioni: già negli anni ’70 abbandonava l’acciaio per il legno grezzo, i materiali industriali per quelli trovati, l’astrazione per incursioni quasi surreali o vernacolari. Un percorso coerente proprio perché incoerente, fatto di libertà e fedeltà a se stesso.
Il legame con la Paula Cooper Gallery è stato fondamentale: iniziato nel 1965 si è consolidato nel tempo con oltre venticinque mostre personali, a partire da quella del 1970, in cui una monumentale scultura bianca in compensato sembrava sospendere lo spazio stesso tra pavimento e soffitto. Per oltre cinquant’anni, Paula Cooper è stata la custode e complice della sua visione, offrendogli lo spazio per sperimentare, spesso in modo radicale.
In parallelo, Grosvenor ha lasciato il segno anche in Europa, dove fu tra i primi americani a introdurre il Minimalismo con la mostra «Minimal Art» al Gemeentemuseum de L’Aia (1968). La sua opera, oggi più che mai riconosciuta a livello internazionale, è protagonista della grande retrospettiva in corso al Fridericianum di Kassel, organizzata per il 70mo anniversario di documenta: un tributo ampio e necessario, che raccoglie oltre trenta opere, dalle strutture a sbalzo degli esordi alle installazioni più recenti costruite con veicoli in disuso e materiali di recupero. È la prima mostra personale di Grosvenor in un’istituzione tedesca, e la più esaustiva in Europa degli ultimi vent’anni: una coincidenza toccante, che oggi assume i contorni di un ultimo omaggio.
La sua formazione internazionale, a Digione, Parigi e Perugia, si rifletteva in un lavoro che pur radicato nell’esperienza americana dialogava sempre con un pensiero plastico ampio, transnazionale. Anche nella fase più tarda della sua carriera, Grosvenor ha continuato a sorprendere: sculture composte da rottami, assi annerite dal creosoto, lamiere piegate, automobili rese inutilizzabili eppure cariche di una nuova, inquietante poesia.
Esposto in istituzioni prestigiose in tutto il mondo, da New York a Porto, da Chicago a Berna, Grosvenor ha ricevuto riconoscimenti importanti, tra cui l’elezione all’American Academy of Arts and Letters nel 2025, poco prima della sua morte. Le sue opere vivono oggi in alcune delle collezioni più importanti del globo, dal MoMA di New York al Centre Pompidou di Parigi, dal Walker Art Center allo Storm King Art Center.
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