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Alessia Amenta studia una statua di Sekhmet nel Tempio di Mut a Karnak

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Alessia Amenta studia una statua di Sekhmet nel Tempio di Mut a Karnak

Al Louvre la potenza della dea Sekhmet

Una recente conferenza tenutasi nel museo parigino ha dato conto degli esemplari della dea leontocefala presenti nel mondo, al centro di un progetto internazionale, diretto dall’egittologa Alessia Amenta dei Musei Vaticani e partito dal restauro delle statue del Museo Gregoriano Egizio

Francesco Tiradritti

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Dei 450 posti di capienza dell’auditorio «Michel Laclotte» al Museo del Louvre pochissimi erano quelli liberi per la conferenza tenuta il 21 novembre scorso da Alessia Amenta, curatore del Reparto Antichità Egizie e del Vicino Oriente dei Musei Vaticani. L’intervento, dal titolo «Des statues de Sekhmet par dizaines. Un ensemble exceptionnel découvert dans le temple d’Amenhotep III» («Statue di Sekhmet a decine. Un insieme eccezionale scoperto nel Tempio di Amenofi III»), intendeva dare conto di un progetto internazionale, di cui è capofila proprio il reparto dei Vaticani diretto da Amenta che ha avuto origine dal restauro delle statue di Sekhmet presenti nel Museo Gregoriano Egizio.

La dea leontocefala era l’incarnazione dell’aspetto violento che gli Egizi attribuivano alla natura femminile nei momenti di rabbia. In un antico e celebre mito il dio Sole invia la propria figlia Sekhmet a sterminare il genere umano, reo di essersi depravato.  La dea si fa prendere la mano e rischia di eliminare anche gli innocenti. Soltanto l’intervento di Thoth, che la induce a bere un notevole quantitativo di birra facendole credere che si tratti di sangue umano, riesce a porre fine allo sterminio. La potenza della dea poteva dunque essere incanalata e i medici egizi, famosi in tutto il Vicino Oriente, la invocavano spesso in loro soccorso.

Statue di Sekhmet raggiunsero i musei europei ancora prima che scoppiasse l’interesse per l’antico Egitto. Tra queste, vi è quella riportata dal botanico Vitaliano Donati (1717-62), ora nelle collezioni del Museo Egizio di Torino. La prestigiosa istituzione, insieme al Museo del Louvre e altre raccolte egizie, fa parte del progetto diretto da Amenta che, oltre a un inventario delle sculture di Sekhmet attualmente conservate nei musei di tutto il mondo (una è persino a Tokyo), studia l’insieme di quelle ritrovate nel Tempio funerario di Amenofi III sulla riva ovest del Nilo e quelle ancora oggi nel Tempio di Mut a Karnak. I risultati sono sorprendenti e hanno condotto alla compilazione di un inventario che, tra sculture integre e frammenti, comprende oltre 800 esemplari. Grazie a indagini scientifiche eseguite dal Laboratorio di Diagnostica dei Musei Vaticani si è anche potuto stabilire che alcune parti delle statue, tutte in granodiorite proveniente da cave diverse, erano dipinte. Nel corso della sua conferenza Amenta si è a lungo soffermata su modalità e tecniche di produzione definendo l’insieme statuario «un tesoro di informazioni nascoste nei suoi numeri». La sua è una ricerca davvero «faraonica», ma in grado di fornire preziosi dati sull’arte di uno dei momenti storici più elevati dell’antico Egitto. 

 

Statua di Sekhmet riportata da Vitaliano Donati. Foto Museo Egizio di Torino

Francesco Tiradritti, 01 dicembre 2025 | © Riproduzione riservata

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