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Roberta Bosco
Leggi i suoi articoli«Vogliamo un Macba più umano, permeabile alla realtà sociale, transgenerazionale, un Macba degli affetti e delle relazioni, più inclusivo e soprattutto necessario». Lo afferma Elvira Dyangani Ose (Cordova, 1974), la prima donna a dirigere il Museu d’Art Contemporani de Barcelona nei suoi 26 anni di esistenza. Il suo arrivo ha riportato l’entusiasmo in un’istituzione che attraversa una grave crisi d’identità.
Nata in una modesta famiglia d’immigrati dalla Guinea, Dyangani ha studiato a Barcellona, per poi percorrere una carriera internazionale, alla Tate Modern e poi alla direzione del centro Showroom di Londra. Ora è decisa a trasformare il Macba, dall’organigramma, alla collezione e programmazione: «Saranno cambi radicali ma non spettacolari, piuttosto azioni sottili, incisive, progressive e organiche», assicura la neodirettrice che rivendica l’aspetto più «femminile/femminista» di un museo in cui il 90% dei dipendenti sono donne.
«Dobbiamo decolonizzare la nozione di museo e aprirlo a nuove narrative, al di là della retorica euro-americana, risanando le lacune della collezione e recuperando la ricerca che aveva caratterizzato il suo primo periodo», spiega. Tratterà arte africana così come problematiche di genere, «ma l’essere donna o nera non definisce i miei campi d’interesse», sottolinea, ricordando il suo progetto sul panafricanismo per l’Art Institute di Chicago nel 2024.
Inizieremo a vedere le sue proposte espositive solo nel 2023, ma è certo che inciderà anche in quelle ereditate dal suo predecessore Ferran Barenblit. È il caso di «Panorama» (fino al 23 febbraio), una mostra sulla scena artistica catalana (annosa rivendicazione degli artisti autoctoni), che già sta pensando di ampliare o dotare di una periodicità, per trasformarla in un «termometro» della situazione artistica locale.
Ha già anticipato che non esisterà più una separazione netta tra collezione, mostre e attività. Di qui la necessità di ristrutturare l’assetto del personale interno: «L’organigramma deve essere adeguato al programma del museo e coerente con le tematiche che affronta, spiega. Il Macba deve aprirsi alla città e noi dobbiamo consegnarlo alla gente. Sto pensando di rendere gratuita per lo meno una parte della visita e di approfittare dell’ampliamento che collegherà l’edificio di Richard Meier con il ristrutturato Convent dels Angels, per creare uno spazio transitabile, aperto alla città, continua snocciolando azioni volte a risanare la frattura con la cittadinanza.
Il Macba deve avere diverse velocità, non perdere l’immediatezza, rispondere alle istanze dell’ecosistema barcellonese e allo stesso tempo lavorare su progetti a lungo termine con grandi istituzioni internazionali. La stessa dinamica si deve applicare al pubblico: soddisfare chi cerca una visita tranquilla, ma anche chi non si accontenta della contemplazione». «Dobbiamo fare un Macba come se il mondo che vogliamo esistesse già», conclude.

Elvira Dyangani Ose. Foto Maureen M. Evans
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