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Le tre versioni del «San Francesco» di Zurbarán esposte al Mnac di Barcellona

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Le tre versioni del «San Francesco» di Zurbarán esposte al Mnac di Barcellona

La storia segreta del san Francesco di Zurbarán

Una mostra a Barcellona riunisce per la prima volta tre versioni del santo di Assisi dipinte dal maestro spagnolo. Carme Ramells racconta il restauro che ha cambiato l’interpretazione iconografica dell’opera appartenente al Mnac, svelando una fake news del Siglo de Oro

Tra i musei è sempre più consueta una collaborazione che permetta di condividere alcune opere, abbassando i costi e migliorando i risultati, senza doversi accollare la presentazione di una mostra uguale in tutte le istituzioni coinvolte. È quello che hanno fatto il Musée des Beaux Arts di Lione, il Boston Museum of Fine Arts e il Museu Nacional d’Art de Catalunya (Mnac) di Barcellona, proprietari delle tre versioni di «San Francesco d’Assisi secondo la visione di papa Niccolò V» di Francisco de Zurbarán (1598-1664), riunite per la prima volta nella storia, in un progetto espositivo diverso in ognuno dei tre musei coinvolti.

La mostra del Mnac, «Zurbarán (sobre)natural. El misterio de la realidad» (Zurbarán (sopra)naturale. Il mistero della realtà, aperta dal 20 marzo al 29 giugno, è più piccola di quella di Lione «Zurbarán. Reinventare un capolavoro» chiusa il 2 marzo, ma tutte le opere esposte sono davvero superlative. Esclusi i «San Francesco», si tratta di due mostre completamente diverse. Quella lionese, più descrittiva e didattica, presenta molti lavori contemporanei e si serve delle opere del pittore spagnolo per spiegarne l’influenza sull’arte francese. La rassegna di Barcellona, invece, articola un percorso di suggestioni intellettuali che prende le mosse dall’emotività e dalle sensazioni che le opere del maestro suscitano. I curatori, Joan Yeguas e Àlex Mitrani, propongono un’esperienza estetica in cui, grazie a un allestimento scenografico non convenzionale che rafforza la dimensione mistica delle opere, evidenziano l’approccio iconografico di Zurbarán, così diverso dalle tendenze dell’epoca.

La novità principale risiede negli elementi emersi dal restauro del «San Francesco», venduto al Mnac nel 1905 dal collezionista José Fernández-Pintado y Díez de la Cortina, che ha segnato una svolta nell’interpretazione dell’opera e della sua relazione con la leggenda da cui trae origine. Il restauro, durato poco meno di un anno, si è avvalso di tecnologie avanzatissime e ha portato alla luce una storia affascinante che Carme Ramells, responsabile del dipartimento di restauro del Mnac e di questo dipinto in particolare, ha raccontato a «Il Giornale dell’Arte».

 

In quale condizioni era l’opera quando avete iniziato il lavoro?
Sapevamo ben poco della sua storia. Abbiamo una foto del suo arrivo nel museo nel 1905 con la dicitura «Frate in estasi» (non sapevamo ancora che si trattava di san Francesco), accompagnata dalla richiesta di prestito di un museo di Madrid, respinta a causa delle delicate condizioni dell’opera. Il dipinto mancava di intere porzioni lungo tutto il perimetro e difatti è notevolmente più piccolo in confronto alle versioni di Lione e Boston. Le dimensioni attuali non sono pertanto quelle originali, ma sono la conseguenza di una sostituzione del telaio precedente all’ingresso del dipinto ingresso nel museo barcellonese. Inoltre la superficie pittorica risultava oscurata dai successivi ritocchi e le vernici applicate negli anni Quaranta si erano ossidate, stravolgendo i colori originali e occultando elementi chiave come l’arco che disegna la nicchia e l’ombra del santo. Dal punto di vista iconografico sapevamo che il tema si rifaceva alla leggenda secondo la quale nel 1449 il papa Niccolò V si recò a vedere il corpo incorrotto di san Francesco, apparso nella cripta della Basilica di Assisi. Si trattava di una vera e propria fake news dell’epoca (le spoglie del santo furono infatti rinvenute nel 1818) che diede il via a molteplici rappresentazioni.

In che cosa si differenzia la raffigurazione che ne fece Zurbarán?
Nella mostra presentiamo due opere conservate a Murcia e Oviedo che offrono la rappresentazione più consueta e didascalica di quell’evento, con il papa chino davanti al santo, il seguito di dignitari ecclesiastici, la cripta illuminata dai ceri e dalle torce, la fiamma dello Spirito Santo e naturalmente le stimmate ben in vista. Zurbarán elimina tutto l’aspetto aneddotico e lascia solo il santo, collocando lo spettatore al posto del papa e in un certo senso democratizzando la narrazione. Con grande delicatezza nasconde le mani nelle maniche dell’abito per occultare le stimmate che per umiltà Francesco non ostentava. Allude alle stimmate anche il piede destro che spunta dalla piega del saio: prima del restauro era del tutto invisibile ed è stato individuato grazie alla radiografia ai raggi X. Curiosamente nelle altre due versioni il piede che sporge dalla veste è il sinistro. Questa differenza, insieme ad altri dettagli difformi, fece sì che per diversi anni non tutti gli esperti concordassero sull’attribuzione.

Come si è svolto il restauro?
Le indagini che hanno preceduto l’intervento sono state molto esaustive, abbiamo usato diverse tecniche di rilevamento delle immagini, radiografie, stratigrafie e tutte le analisi chimiche che potevano aiutarci a distinguere la pittura di Zurbarán dagli interventi posteriori. Un’analisi fondamentale è stata la fluorescenza a raggi X, una tecnica di spettroscopia non invasiva che consente di identificare gli elementi chimici presenti nel campione e ci ha permesso di capire fin dove potevamo spingerci per eliminare in modo progressivo e controllato lo strato di colore nero che copriva le velature finali del dipinto di Zurbarán. È stato un lavoro complesso e lento, ma ci ha aiutato il fatto che il nero di Zurbarán non contiene ferro, abbondantemente presente invece nel nero utilizzato successivamente. Inoltre le radiografie ci hanno permesso di studiare la preparazione della tela, mettendo in luce resti del fango del Guadalquivir e microfossili del fiume che hanno confermato che l’opera fu dipinta a Siviglia.

C’erano già stati altri restauri?
Già nel 1932 il Museu Nacional disponeva di un dipartimento di restauro e conservazione e sappiamo che tra gli anni ‘30 e ’40 l’opera fu pulita e rintelata. Si trattò di un lavoro eccellente per l’epoca, se si considera che a quei tempi non si utilizzavano ancora le radiografie né le analisi chimiche per visualizzare la successione degli strati pittorici. Il risultato venne esposto nel Palau Reial di Barcellona nel 1947, ma le prime testimonianze grafiche del restauro risalgono al 1959. Abbiamo anche individuato tre tipi di stucchi applicati in tre momenti diversi per colmare le lacune e abbiamo eliminato esclusivamente i ritocchi invasivi che alteravano la lettura dell’opera. Per reintegrare il colore assente, abbiamo usato criteri mimetici, tra cui la tecnica del tratteggio, un procedimento rispettoso che risulta visibile solo a distanza molto ravvicinata. Per finire abbiamo applicato uno strato di vernice protettiva. In questo modo la scena ha recuperato la sua profondità e il volume della figura attraverso dettagli come le pieghe dell’abito, le sopracciglia e la barba, che prima non si notavano.

 

 

Carme Ramells, responsabile del restauro del «San Francesco» di Zurbarán conservato nel Mnac di Barcellona

Roberta Bosco, 09 aprile 2025 | © Riproduzione riservata

La storia segreta del san Francesco di Zurbarán | Roberta Bosco

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