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Una veduta dell’Archivio di Stato di Napoli

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Una veduta dell’Archivio di Stato di Napoli

All’Archivio di Stato di Napoli storie eccezionali per tutti

La direttrice Candida Carrino racconta i tanti progetti che hanno fatto avvicinare la gente a un luogo troppo a lungo percepito come destinato solo agli studiosi e che è in realtà una fucina di idee che proiettano la memoria nel futuro in una sede da vivere tra arte e verde

Olga Scotto di Vettimo

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L’Archivio di Stato di Napoli è depositario di storie e memorie riferibili tanto ai documenti conservati quanto alla sede in cui sono custoditi, l’antico Monastero dei Santi Severino e Sossio. Il vasto complesso monumentale, fondato nel IX secolo, si fa spazio nel centro antico della città, articolandosi in giardini, chiostri e saloni affrescati tra Cinque e Seicento. Abbiamo rivolto qualche domanda a Candida Carrino, archivista, storica e ricercatrice che lo dirige dal 2019.

Come ha indirizzato questi anni di direzione?
L’Archivio di Stato di Napoli è conservato in un monastero antico, da cui non si può prescindere. La mia direzione è stata improntata a un radicale cambio di paradigma rispetto al passato, alimentata dalla convinzione: il patrimonio culturale è memoria e insieme motore di crescita e innovazione. Pertanto ho lavorato al fine di costruire una visione culturale che non separasse il contenuto dal contenitore e a riformulare un nuovo statuto epistemologico per il documento, inteso non più solo come oggetto di interesse per gli specialisti, ma come dispositivo finalizzato a raccontare una pluralità di storie a pubblici diversi. Per dirigere un’istituzione culturale occorre avere una visione complessiva, strettamente legata a quello che si conserva, ma anche al contesto in cui questa azione avviene e al territorio che la accoglie. Diversamente si rischia di fare lavori magari anche ottimi, ma senza prospettive per il futuro. In questo solco si iscrivono mostre molto apprezzate dal pubblico, soprattutto dai giovani, come quella virtuale su Picasso, che, mettendo in relazione i documenti dell’affaire Eugenio Reale con le opere di Picasso, ha consentito la visualizzazione narrativa di una storia politica e culturale dell’Italia degli anni ’50, ma anche di capire perché quei documenti su Picasso siano conservati qui (L’Archivio di Stato di Napoli custodisce il fondo del senatore Reale con i documenti riguardanti il caso scoppiato nel 1953 quando, alla Galleria d’Arte Moderna di Roma e al Palazzo Reale a Milano si tennero le due prime monografiche ufficiali dedicate in Italia a Picasso, precedute da velenosi scontri tra il Partito Comunista, che le aveva sostenute, e la Democrazia Cristiana che le riteneva politicamente scorrette e preferì organizzare in parallelo una retrospettiva di Salvator Dalí, Ndr). Grande interesse anche per la mostra sugli strumenti chirurgici descritti in alcuni documenti dell’Archivio, che abbiamo esposto accanto agli strumenti datici in prestito dall’Ospedale degli Incurabili. Un Archivio non solo per addetti ai lavori, dunque. In questa direzione va anche la recente collaborazione con Walt Disney-Panini, che sta pubblicando su «Topolino» cinque storie a fumetti costruite attorno ad alcuni documenti dell’Archivio, come la Carta lapidaria dell’VIII secolo, la più antica testimonianza conservata in questo Istituto.

Una veduta dell’Archivio di Stato di Napoli

Che cosa deve intendersi oggi per documento?
Le rispondo con esempi concreti. Stiamo lavorando a «La casa delle storie», progetto che prevede di destinare molti spazi a mostre temporanee o alla musealizzazione delle donazioni. Di recente abbiamo terminato la sistemazione dell’archivio di Filippo Alison, architetto, critico, storico dell’architettura e del design, nato a Torre Annunziata nel 1930 e scomparso dieci anni fa, al quale si devono «iMaestri» di Cassina, collezione iniziata nel 1965 con la produzione in serie dei primi quattro modelli disegnati da Le Corbusier e proseguita con opere dei più significativi autori del Modernismo. L’idea, scaturita dall’esigenza delle eredi di preservare l’archivio, si è tradotta nella sistemazione di parte dello studio di Alison all’interno di due ex celle dei monaci, dove trovano posto strumenti di lavoro dell’architetto, assieme a prototipi di suoi lavori e alle foto di famiglia. A breve, destineremo i nostri spazi anche all’archivio-studio dell’ingegnere Luigi Cosenza, tra i protagonisti della cultura architettonica del ’900 in Italia. E ancora: stiamo acquisendo e risistemando anche archivi aziendali del territorio, costituiti non solo da carte, ma anche da oggetti, attrezzi e macchine di lavoro. Anche in questi casi, musealizzare vorrà dire raccontare storie di lavoro, di costume, di relazioni e di pensiero. Per avviare tale processo, volto alla valorizzazione e alla effettiva visibilità dell’Istituto, abbiamo operato su diversi livelli: sviluppo dell’offerta culturale; creazione di servizi aggiuntivi; creazione di attività di network territoriale ed extraterritoriale; rifunzionalizzazione degli spazi. Inoltre è stato individuato e coltivato un modello di cooperazione tra pubblico e privato coinvolgendo numerosi stakeholder.

Cosa prevede la programmazione dell’Archivio di Stato?
Lo spazio non è mai un luogo neutro. Il contenitore ha un’identità propria e deve parlare quanto ciò che conserva. Ospitiamo concerti, presentazioni di libri e soprattutto mostre che sentiamo coerenti con le nostre finalità culturali. È prorogata fino al 31 marzo «Trame-Il rosso corre sul filo», che ripercorre l’evoluzione simbolica e culturale del colore rosso attraverso i tessuti della prestigiosa azienda tessile veneziana Rubelli, a cui abbiamo affiancato i documenti della corporazione dei setaioli napoletani, molto importanti sin dal ’400, quindi secoli prima della fabbrica borbonica di San Leucio. Dal 22 marzo al 4 aprile ospiteremo, inoltre, «Venice Time Case», mostra itinerante curata da Luca Massimo Barbero, che farà tappa anche a Napoli e che riflette la nostra idea di tenere insieme contenuto e contenitore. Le cinque valige, che trasportano 50 opere di altrettanti artisti emergenti dell’area veneziana, molti provenienti dall’Accademia di Belle Arti, non sono meno importanti dei dipinti che custodiscono. A ottobre, invece, inaugureremo un’esposizione sull’attività editoriale di «Il Laboratorio» di Vittorio Avella e Tonino Sgambati, stamperia d’arte e centro di riferimento per il territorio campano dal 1978, nonché snodo di relazioni tra intellettuali e artisti locali e internazionali.

In che modo ha operato sul contenitore Archivio?
Siamo stati i primi a completare un progetto Pnrr da 2 milioni di euro, finalizzato al recupero dei giardini storici del complesso dei Santi Severino e Sossio. Certamente un’operazione di valorizzazione della storia del monumento, essenziale per l’identità culturale del complesso, ma anche con importanti ricadute sui cittadini del centro storico di Napoli, a cui è negato lo spazio verde. Partendo sempre dai documenti che conserviamo, abbiamo reintrodotto le piante officinali dei benedettini e gli antichi agrumeti, eliminato la vegetazione incoerente e abbiamo messo a dimora circa 400 piante, provenienti da oltre 20 vivai italiani, creando anche le condizioni per ospitare la fauna locale, soprattutto gli uccellini. Una parte del giardino, aperta anche sul fronte strada, è normalmente dedicata a attività ludico-creative per la comunità del quartiere, oltre a essere accessibile agli studiosi che frequentano l’Archivio. Il principio informatore è stato quello di strutturare un’offerta differenziata in grado di creare da un lato un punto di riferimento per il quartiere, storico e disseminato di testimonianze architettoniche e artistiche di sicuro richiamo; dall’altro di garantire ai fruitori del complesso monumentale un luogo che valorizzasse tutte le potenzialità che lo stesso è in grado di offrire. Ed è per questo che oggi l’Archivio di Stato è riconosciuto quale polo culturale centrale di riferimento nell’ambito della città di Napoli.

Una veduta dell’Archivio di Stato di Napoli

Olga Scotto di Vettimo, 17 marzo 2025 | © Riproduzione riservata

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