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Nell’anno che sta per iniziare cadrà il centenario della nascita di Fabio Mauri (Roma, 1926-2009), uno degli esponenti più influenti e affilati delle neoavanguardie di fine millennio, interlocutore di Italo Calvino, Umberto Eco, Pier Paolo Pasolini e presente con il suo lavoro d’artista in più edizioni della Biennale di Venezia, oltre che a dOCUMENTA13 di Kassel, nel 2012.
Molte le mostre e gli eventi che gli saranno dedicati, insieme all’uscita del Catalogo generale della sua opera (Allemandi e Hatje Cantz, già disponibile online) curato da Carolyn Christov-Bakargiev, presidente del Comitato Scientifico dello Studio Fabio Mauri, che ne parlerà il 10 dicembre alle 18 in Triennale Milano, nel primo appuntamento del public program che accompagna «Fabio Mauri. De oppressione» (catalogo Silvana), la mostra con cui, di fatto, si aprono in anticipo le celebrazioni del centenario.
Realizzata da Associazione Genesi in collaborazione con Studio Fabio Mauri-Associazione per l’Arte L’Esperimento del Mondo, la mostra, visibile in Triennale Milano dal 3 dicembre al 15 febbraio 2026, è curata da Ilaria Bernardi, come tutte quelle promosse dall’Associazione Genesi, fondata nel 2020 da Letizia Moratti con l’obiettivo dichiarato di educare alla tutela dei diritti umani attraverso l’arte.
Di questa forma d’arte nutrita di valenze etiche e sociali Fabio Mauri è un esponente esemplare, essendo tutto il suo lavoro posto sotto il segno di tali principi ma, fra i numerosi temi che avrebbe potuto esplorare, la mostra milanese punta su quello, eterno e drammaticamente attuale, dell’«oppressione», specie nelle sue declinazioni legate alla cultura, all’identità, all’ideologia, poiché spesso nel passato, e tuttora, queste tre categorie sono state distorte e, da «neutre» quali dovrebbero essere, sono diventate strumenti di sopraffazione.
Come spiega Ilaria Bernardi a «Il Giornale dell’Arte», «di Mauri spesso vengono ricordate le opere in cui rilegge il periodo nazi-fascista, ma in realtà questo è assunto dall’artista come uno dei purtroppo ricorrenti eventi storici in cui la sovrastruttura ideologica, politica e/o sociale schiaccia l’individuo. In realtà, tutta la sua arte è una riflessione su questo tema, intrecciando la storia individuale del singolo alla Storia collettiva della società. Una delle sue opere più significative in tal senso, la videoinstallazione “Rebibbia” (2006), evoca le vite di singoli carcerati attraverso la presenza di un mobile proveniente da quel carcere romano su cui è proiettato “La ballata del soldato”, un film del 1959 di Grigory Chukhrai che parla di un giovane uomo russo, chiamato alle armi durante la Seconda Guerra Mondiale: due tempi e situazioni differenti, ma unite dall’impossibilità di sottrarsi al proprio doloroso destino».
Il tema dell’oppressione, soprattutto ideologica, in verità, era già profeticamente in nuce nel motivo iconografico-concettuale dello schermo, affrontato da Mauri nel suo lavoro sin dagli anni Cinquanta: «Mauri, continua Ilaria Bernardi, è arrivato prima di ogni altro artista coevo alla consapevolezza del potere della comunicazione visiva e verbale attuata attraverso lo schermo (allora televisivo e cinematografico), forse aiutato dalla sua esperienza letteraria, teatrale e cinematografica. Per lui l’opera d’arte è uno “schermo” che può includere tutte le immagini possibili (passate, presenti e future), con la loro potenzialità di incidere, nel bene e nel male, sul sociale, sulle masse e sui singoli individui».
Fra le opere in mostra, tutte ugualmente potenti, citiamo «Europa bombardata», documentazione di una performance avviata nel 1978 («una memoria storica del periodo fascista a Bologna attraverso frammenti di una memoria privata», spiega la curatrice); «Vomitare sulla Grecia» (1972), in riferimento alla dittatura greca dei Colonnelli (1967-74, Ndr) e «Cina ASIA nuova» (1996): un muro di valigie in alluminio con, al centro, due fotografie retroilluminate da una luce al neon, legate alle proteste del 1989 di Piazza Tienanmen a Pechino, ferocemente represse dal regime. Nel suo lavoro Mauri fissa il volto, sconvolto, di un giovane uomo qualche minuto prima dell’esecuzione capitale e sul retro, in trasparenza, mostra i volti non meno sgomenti dei giovani poliziotti del plotone d’esecuzione di fronte agli ordini che si apprestano a eseguire. Perché per Mauri, come sostiene Carolyn Christov-Bakargiev, l’opera d’arte si pone come «esperimento nella verifica del Male».