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Michela Moro
Leggi i suoi articoliRischa Paterlini è stata per vent’anni la curatrice della collezione Iannaccone, lavorando al fianco dell’avvocato e collezionista Giuseppe Iannaccone. È una raccolta importante, divisa in due sezioni: l’arte italiana tra le due guerre e l’arte contemporanea. La prima parte con opere che vanno dai primi anni Venti del ’900 alla fine della seconda guerra mondiale, definita da Iannaccone «L’espressionismo italiano degli anni Trenta». La sezione dedicata all’arte contemporanea include Matthew Barney, John Currin, Tracey Emin, William Kentridge, Juan Muñoz, Shirin Neshat, Marc Quinn, Kiki Smith, Kara Walker e Gillian Wearing, fino ad Adrian Paci e Regina José Galindo. Oggi Rischa Paterlini ha deciso di intraprendere un percorso nuovo dedicandosi a progetti indipendenti, mantenendo la collaborazione con la collezione su specifici progetti. Insegna alla NABA, Economia del Mercato dell’arte e Management dell’arte.
Come ha iniziato questa professione?
Un po’ per caso, perché al tempo in Italia quasi nessuno aveva una persona dedicata alla propria collezione. Ho iniziato come segretaria nello studio dell’avvocato Iannaccone, e lì ho incontrato l’arte. Ho cominciato aiutandolo nella catalogazione delle opere di arte italiana tra le due guerre, già un nucleo importante. Poi sono iniziate le ricerche sui giovani artisti di respiro internazionale. L’avvocato Iannaccone mi ha insegnato una professione, mi ha indicato una strada e ha sollecitato la mia curiosità, mi ha permesso di fare ricerca e di visitare le fiere di arte contemporanea a Basilea, New York, Miami. Grazie a lui sono entrata in relazione con personalità del mondo dell’arte che mi hanno aiutato a crescere come Bruna Aickelin della Galleria il Capricorno di Venezia, Claudia Gian Ferrari ed Elena Pontiggia, la conservatrice e restauratrice Isabella Villafranca Soissons, nonché moltissimi collezionisti, galleristi e artisti che nel tempo sono diventati amici.
Quali sono le mansioni di un curatore di collezione privata?
A differenza di quanto accade in istituzioni museali o fondazioni più strutturate, qui il curatore deve prendersi cura della collezione in tutto e per tutto. Dalla schedatura scientifica ai certificati di autenticità, dalla conservazione delle opere alla ricerca dei giovani artisti, dalle relazioni con i galleristi alla partecipazione alle fiere, dall’assistenza nell’acquisto e nella vendita di opere d’arte, sia in asta sia in trattativa privata, alla collaborazione con la compagnia assicurativa per le valutazioni, fino ad accompagnare le opere quando sono prestate alle mostre. È importante ideare progetti che possano valorizzare la collezione in collaborazione con istituzioni pubbliche italiane e straniere, realizzare cataloghi, allestire le opere interpretando il desiderio del collezionista, i condition report e poi la comunicazione. Insomma non ci si annoia mai.
Com’è cambiata nel tempo la gestione dal punto di vista tecnico? La tecnologia aiuta?
Quando ho iniziato, le opere di arte italiana tra le due guerre erano già parzialmente schedate, spesso manualmente, dall’avvocato, e in collezione sono conservati ancora i suoi primi fascicoli in ordinati fogli. A ogni opera corrispondeva una cartellina con tutti i documenti. Quando le opere sono diventate troppo numerose e aggiornare i dati iniziava a essere complicato, ho catalogato le opere in fogli Excel. Poi finalmente è arrivata la tecnologia. Abbiamo iniziato a utilizzare il programma Artshell quando era poco più che una demo, e collaborando con l’ideatore, Bernabò Visconti di Modrone, siamo riusciti a costruire un archivio digitale che assomigliasse il più possibile a quello che fisicamente, ormai trent’anni fa, iniziò a costruire l’avvocato Iannaccone. Oggi tutte le opere sono digitalmente catalogate e in collezione si lavora all’implementazione delle schede sull’arte contemporanea oltre che a tenere aggiornate quelle degli anni Trenta.
E delle scelte curatoriali, la collezione si evolve? È una questione di gusto?
Quello che un curatore di una collezione privata non deve fare, secondo me, è scegliere al posto del collezionista. Può aiutarlo, può fare ricerche, consigliarlo, ma il collezionista deve avere l’ultima parola sulla scelta delle opere, perché la collezione assomiglia al collezionista e il collezionista assomiglia alla sua collezione. Una volta i collezionisti, generalmente professionisti o imprenditori molto impegnati, non riuscivano a ritagliarsi il tempo per studiare, quindi il percorso spesso iniziava con la raccolta di opere che dopo qualche anno non erano più interessanti rispetto alla collezione che volevano costruire. Oggi il collezionista è più consapevole, spesso chiede consigli e si avvale di curatori freelance per fare acquisti, conoscere il valore delle opere e avere informazioni che non si hanno, non essendo nel sistema. Credo che questo sia giusto. Permette ai collezionisti di evitare l’accumulazione inutile, di essere più consapevoli, di avere una collezione ordinata anche per quanto riguarda i documenti come le autentiche, incanalando gli impegni economici in una direzione più orientata.
Quale rapporto si crea tra collezionista e curatore?
È un rapporto speciale che si costruisce giorno per giorno, chiacchierata dopo chiacchierata. Se collabori con un collezionista a tempo pieno, e per molti anni, davvero puoi riuscire a capire i suoi gusti e quasi sempre sai qual è il pezzo giusto per lui.
Il curatore si prende carico anche di tutti gli aspetti legali?
Generalmente il curatore collabora con i professionisti del settore per soddisfare le richieste del collezionista.
Dal punto di vista legale esiste la figura del curatore di collezione privata?
È un tasto dolente. Esiste la carta nazionale delle professioni museali in cui è iscritto il conservatore-curatore, ma il curatore di una collezione privata è questo e molto altro ancora. Ad oggi non esiste un albo.
Quali sono gli aspetti più piacevoli e quelli più spigolosi di una professione così?
Non riesco a trovare spigoli in quella che da passione è diventata la mia professione. Certo richiede molto impegno e sacrificio. Non stacchi mai la spina, non ci sono sabati o domeniche, è un continuo scalare una montagna, c’è sempre qualcosa di nuovo da imparare. Spesso le conversazioni con i collezionisti si svolgono nel weekend perché durante la settimana lavorano. Non è una professione fatta di sole fiere e feste, c’è molto altro: alzarsi la mattina presto per studiare, stare svegli fino a tarda notte per seguire le aste dall’altra parte del mondo, il lavoro per il prestito di un’opera e lo studio dell’andamento del mercato. Se decidi di fare la tua professione in un certo modo, dev’essere con impegno e grande passione.

Rischa Paterlini
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