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Ludovica Zecchini
Leggi i suoi articoliIn un sistema che per sua natura seleziona, filtra e definisce fin quasi all'esasperazione, Art Basel assume una posizione in forte controtendenza. Fa rumore che sia proprio la più grande e potente delle fiere globali, quindi anche tra le più esclusive, ad essersi interrogata sul costo - economico e simbolico - dell'attuale modello fieristico, proponendo una riduzione delle tariffe per i nuovi espositori. L’iniziativa è passata quasi inosservata, annunciata con discrezione in un’email inviata poco dopo il Labor Day (7 settembre) alle gallerie che partecipavano ad Art Basel Paris. 20% di sconto per chi espone per la prima volta, 10% per chi ritorna al secondo anno. Secondo Vincenzo de Bellis, direttore artistico e globale della fiera, la misura – attiva già dal 2021, a partire dall’edizione di Miami Beach – nasce dal desiderio di “incoraggiare nuove presenze e sostenere il radicamento delle gallerie emergenti nella rete internazionale di Art Basel”. Dal 2026, gli sconti cresceranno ulteriormente, portando le riduzioni al 25% per i debuttanti e al 15% per le gallerie al secondo anno. Nulla di rivoluzionario, certo, ma abbastanza per suggerire un approccio più inclusivo nei confronti delle realtà più piccole.
La decisione coinvolge tutte le sedi della fiera - da Basilea a Hong Kong, da Miami Beach a Parigi, fino alla nuova edizione prevista in Qatar nel febbraio 2026 - e arriva in un momento in cui il sistema fieristico mostra con sempre maggiore evidenza i suoi limiti strutturali. Partecipare a un evento di alto profilo significa oggi investire cifre che spesso superano le possibilità di una galleria di medie dimensioni. Un’indagine condotta dalla società londinese First Thursday rivela che quasi la metà delle gallerie spende circa quarantamila dollari per un’unica partecipazione, mentre una su cinque dichiara costi compresi fra 66 mila e 133 mila dollari. È una soglia di accesso che, per molti, si traduce in rinuncia. E cosa diventa una fiera se cominciano a mancare proprio le voci più giovani, le più emergenti?
A complicare il quadro si aggiunge un mercato in rallentamento. Il Global Art Market Report di Art Basel e UBS ha registrato nel 2024 un calo del 12% nelle vendite globali, per un totale di 57,5 miliardi di dollari. Il secondo anno consecutivo di contrazione e il passo più lento dalla pandemia. Aumenti nei costi di trasporto, tariffe doganali reintrodotte dall’amministrazione Trump, collezionisti più prudenti: tutto concorre a ridurre i margini e a mettere in discussione l’idea stessa di crescita illimitata che per anni ha alimentato il circuito. Le fiere restano nodi centrali di visibilità e di scambio, ma il prezzo della presenza - economico, logistico e umano - sembra farsi ogni stagione più alto.
In questo scenario, la scelta di Art Basel appare come un gesto di lucidità. Non si tratta di generosità fine a sé stessa, ma di un riconoscimento della fragilità condivisa del mercato. Ci si potrebbe chiedere se sia una mossa strategica per trattenere nuova linfa nel sistema o un tentativo sincero di ridisegnarne le dinamiche. Probabilmente entrambe le cose. Tuttavia, il punto centrale resta un altro, e più incoraggiante: il sistema non è in crisi irreversibile, ma vive e si rinnova proprio grazie alle nuove gallerie che portano idee, energia e prospettive fresche. Per decenni, la fiera ha incarnato l’idea di selezione e prestigio; oggi, scegliendo di allentare la soglia d’ingresso, Art Basel conferma che la vitalità del sistema dipende dall'equilibrio tra consolidamento e apertura.
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