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Antonio Pepe
Leggi i suoi articoliIn estate il mercato dell’arte rallenta i suoi movimenti, per evitare ulteriore surriscaldamento sotto un sole che cuoce impietoso. Non stupisce allora che a fine luglio, mentre i più chiudevano le saracinesche e aprivano l’ombrellone, una cucciolata di opere incentrate sui cani è stata sguinzagliata dalla casa d’aste Bonhams senza troppi guaiti e latrati (Edimburgo, The Dog Sale, 23 luglio). Perché allora dovremmo tornare su una vendita monotematica, una delle tante, con autori semisconosciuti, o di basso rango, e con stime giustamente proporzionate? Perché dietro l’apparente casualità di questa chincaglieria da mercato delle pulci (possiamo dirlo letteralmente per una buona volta) l’astuzia commerciale era doppia e ben ragionata, almeno in linea teorica: pensare a un argomento di comune interesse, e ad alto impatto emotivo, puntando poi sulla forza d’attrazione del branco (149 lotti).
Non ha importanza valutare se quell’esperimento di adozione di massa sia riuscito, ma vale la pena approfondire il genere dato che il ritratto di un solo cane, selezionato con i giusti criteri, sarebbe bastato a superare il fatturato dell’intera asta. Useremo quindi i soggetti a quattro zampe per infrangere una ad una le regole del mercato, uscendone comunque vincitori e capaci di fiutare le prossime occasioni. A patto però che il cane scelto sia un fuoriclasse, come il levriero catturato dal pennello di Otto Hoynck (1630-1706), attestato campione delle gare più importanti del Regno Unito nel diciassettesimo secolo. Nel 2019 lo stesso è passato in un’asta londinese (Sotheby’s, 4 luglio 2019, lot. 156), ancora sfrecciando per tutta la lunghezza della tela, e superando il traguardo della stima massima per più del doppio: 551mila euro realizzati (i prezzi includono le tasse), contro una previsione di 100-150mila sterline.
Forse il risultato si poteva anticipare buttando l’occhio alle medaglie appese su un ramo con artefatta nonchalance. Ma a quelle ora se ne dovrà aggiunge un’altra, per aver fondato nello stesso cinodromo anche il record di vendita dell’artista, quasi un perfetto sconosciuto. Un cane con un degno pedigree può allora vincere la necessità commerciale di attribuire un’opera a un bravo pittore? Evidentemente si. Anzi, in altri casi è proprio la valutazione dell’autore a passare in secondo piano, tanto che l’etichetta di prudenza «attribuito a», anziché spaventare i possibili compratori, li ha spinti a pagare un «Cane seduto sul cuscino» riferito ad Alexandre-François Desportes (1661-1743) circa 120mila euro, cioè due volte la sua stima (Monaco, Sotheby’s, 21 giugno 1991, lot. 153).
Più che una casualità, sembrerebbe allora un potenziale sovvertivo intrinseco del genere, esemplificato anche dai suoi «Cani con selvaggina in un paesaggio», giunti a 317mila euro contro una stima massima di 176mila (Londra, Sotheby’s, 5 luglio 1995, lot. 82) o dal bellissimo «Spaniel che si gira a sinistra» che viaggia sui 200mila anziché 50-70mila (Parigi, Christie’s, 10 aprile 2008, lot. 70). Attitudine anarchica che, ovviamente (direbbero i gattari), appartiene anche ad altri pelosi a quattro zampe, tra i quali ad esempio questi «Quattro gatti» (Parigi, Christie’s, 22 marzo 2007, lot. 63). Nonostante siano solo abbozzati in piccolo formato ad olio su carta, ancora da Desportes, hanno riscattato, oltre alla stima massima di 60mila euro, altri 200mila non preventivati. Ma torniamo ai cani. Se una loro immagine vale più dello stesso artista a cui è attribuita, come la mettiamo con la legge non scritta che i quadri ben venduti sono quelli ben conservati? A cuccia anche quella. Mandata lì da un altro «Cane con candela e gigli» di Juan de Pareja (1606-1670), un palese frammento tagliato, con tutta probabilità, da una pala con san Domenico di Guzman (cane, candela e gigli sono i suoi attributi iconografici). Una tela resecata genera molte riserve nel collezionismo, quindi la casa d’aste adeguava la stima a 5-8mila euro sulla prudenza. Senza però immaginare che il bassotto stringesse tra i denti la fiaccola della vittoria: 247mila euro, più di trenta volte il massimo della valutazione. Insomma, è anche vero che la conservazione importa ma con qualche eccezione. Sempre meglio un cagnolino sovrappeso che un quadro integro, al punto da farlo diventare il top lot dell’evento e il record d’asta dell’artista. Passiamo quindi, per metodo induttivo, dal caso particolare all’assioma perfetto. Un «Cane corso» ritratto da Giovanni Francesco Barbieri, detto il Guercino (1591-1666), era la sensazionale scoperta dell’asta Cheffins nel marzo 2018 (Cambridge, 08/03/2018, lot. 369).
Alexandre-François Desportes, «Spaniel che si gira a sinistra», è stato battuto a 200mila euro da Christie’s il 10 aprile 2008. Courtesy of Christie’s
Giovanni Francesco Barbieri, detto il Guercino, «Ritratto di un cane corso», è stato ceduto per circa 640mila euro da Cheffins, l’8 marzo 2018
«Ritratto» lo usiamo nel vero senso della parola. Infatti, il bell’esemplare è in posa davanti a una finestra, col pelo lucido e un sorriso che lascia cadere la lingua penzoloni, pronto a giocare con chi lo guarda. Il privilegio di tali attenzioni ha lasciato dedurre che si debba trattare del cane appartenuto allo stesso Guercino; morto quello, ora in custodia presso la galleria Rob Smeets di Ginevra. Torniamo però a valutare le sue caratteristiche. Ottima conservazione, parere attributivo unanime, immagine ottimamente riuscita. Più che una scommessa era quindi una garanzia: circa 640mila euro di martello, più di cinque volte la stima. Ulteriore dimostrazione che il tipo di soggetto eccita il mercato e incrementa le richieste di adozione. Una prova del nove? Stesso anno, stesso mese, solo pochi giorni più tardi del cane di Guercino, da Artcurial (Parigi, 21 marzo 2018, lot. 1) si dava atto che la fortuna del genere si estende al mondo della grafica. In felice apertura, il lotto numero uno presentava un «Ritratto di cane seduto», profilato a gessetti su carta e già documentato nell’inventario post mortem dei beni dell’artista francese Simon Vouet (1590-1649). Mettergli il guinzaglio è costato all’acquirente 337mila euro. Mentre la stima, anche questa volta, era inferiore alla metà del prezzo. Non si tratta di fortunelli del mercato, tanto che con le giuste premesse si potrebbe ancora giocare al rialzo, ben sopra il milione. Ma il resto sarà argomento di un secondo articolo, previsto nel numero del prossimo mese. Nel frattempo «attenti al cane».
Continuando l’analisi sulla fortuna mercantile del ritratto canino soffermandoci a quando a posare dietro la tela è un levriero, un «Bassotto» di Juan de Pareja o un «Cane corso» appartenuto al Guercino. La questione richiede più freddezza d’animo di quella che si vorrebbe, dato che per i collezionisti si parla di investimenti a ottimo rendimento e d’altra parte, per chi vende, di occasioni di incasso a cifre blu. Oltre ai casi particolari già esposti, ne esistono anche di generali, dove il nome dell’autore è strettamente legato al tema. Lo dimostra a dovere il registro di vendite di George Stubbs (1724-1806), specialista di cani di ogni taglia e cavalli purosangue, entrambi capaci di saltare oltre la staccionata del milione.
Ad esempio, il King Charles Spaniel del pittore anglosassone ha realizzato appena quello che gli era richiesto, un milione e mezzo di martello (Sotheby’s, Londra, 04/12/2013, lot. 450), così come lo Spanish Pointer da più di due milioni (Sotheby’s, Londra, 04/12/2024, lot. 20) oppure il Terranova del duca di York da 3milioni e mezzo (Sotheby’s, Londra, 24/11/1999, lot. 138). Non sono questi però i motivi di maggiore interesse, nonostante le cifre vertiginose, perché i risultati hanno semplicemente rispettato le aspettative di un genere perfettamente in linea con il corpus del pittore. Con Stubbs, e artisti simili, si può ancora sperare in due scenari favorevoli. Negli errori di valutazione al ribasso oppure in strategie di investimento a lungo termine. Il primo esempio si è avverato con il Cane rosso e bianco in un paesaggio, stimato al massimo sotto i 600mila e costato invece quasi un milione e mezzo (Christie’s, Londra, 22/11/2006, lot. 54). Il meticcio si impone vincitore con una scenografia da principino inglese, seduto nella vegetazione davanti a un lago, con tanto di castello e montagne nello sfondo. I veri protagonisti sono però i vortici di pelo bianco in attesa di una pettinata. Nonostante questo, il risultato d’asta ha instaurato qualche perplessità nello stesso cane. L’espressione ha infatti spezzato il rigore della posa per uno sguardo in tralice che denuncia genuina preoccupazione sullo stato di sanità mentale del prossimo padrone. L’acquirente, dal canto suo, ha scommesso che un cane di Stubbs sarebbe stato un investimento a buon rendere. Possiamo dimostrare che non si tratterebbe di un’eccezione. Se tre indizi fanno una prova, è qui sufficiente citare il cane bianco del visconte Gormanston, passato quattro volte sul mercato dal 1994 al 2016, realizzando in ordine 120mila, 208mila, 427mila e, infine, 459mila euro (l’ultima adozione è del 20/09/2016, Parigi, Sotheby’s, lot. 66). Notiamo che nell’arco di vent’anni un Cane bianco può rispondere all’inflazione meglio dell’oro giallo.
Mettiamo ora da parte Stubbs, ripartendo con una selezione canina rimasta sottotraccia, dall’alta epoca per arrivare ai giorni nostri. Gerrit Dow (1613-1675) è un pittore olandese famoso soprattutto per quadri di genere e trompe-l’oeil. Sarebbe quindi la norma trovare tra le aggiudicazioni più alte di opere del pittore, dipinti che rispecchiano la categoria per cui è meglio riconosciuto (un’altra regola non scritta). Così è, infatti, tranne per un’anomalia che spicca nella top five dei quadri più costosi di Dow passati all’incanto. Al quarto posto, un Cane che dorme accanto a una brocca di terracotta, dipinto su una tavoletta di piccole dimensioni (16 x 21 cm), è dunque un’eccezione costata quasi 4 milioni di euro. Anche con questo torniamo al potere di attrazione delle immagini; quelle con gli amici a quattro zampe sono tra le più ruffiane, capaci di svuotare i portafogli ben oltre la richiesta iniziale (che in questo caso era circa la metà: New York, Christie’s, 25/05/2005, lot 12). La taglia sull’anonimo cagnolino di Dow ora nelle collezioni del Museum of Fine Arts di Boston è addirittura più alta di quella sulla Tête du chien «Bob», dipinta da Edouard Manet (1832-1883) su una tela larga appena 21 cm. Tre anni fa il piccolo terrier, il cui nome Bob è siglato in lettere rosse sulla tela, ha avverato l’ovvia profezia di triplicare la stima in gioco, con un prezzo finale di quasi 1,4 milioni di euro (sempre includendo le commissioni; Christie’s, New York, 20/10/2022, lot. 1).
Juan de Pareja, «Cane con candela e gigli» è stato battuto a 247mila euro da Pandolfini. Courtesy of Pandolfini Casa d'Aste
Simon Vouet, «Ritratto di cane seduto» è stato venduto a 337mila euro da Artcurial il 21 marzo 2018. Courtesy of Artcurial
Il trend di adozioni è in deciso rialzo, e in Italia non ha risparmiato neppure l’arte contemporanea di Michelangelo Pistoletto, «quello degli specchi» con randagi capaci di riscuotere assegni attorno al milione. E fuori dall’Italia lo schema rimane lo stesso. Replicato da Roma a Pechino, dove un Cane nero di Zhang Daqian (Chang Dai-Chien, 1899-1983) inchiostrato su carta ha fatturato circa 400mila euro, contro una stima inferiore alla metà (Poly International Auction, 23/10/2011, lot. 4302). Non ancora il massimo del suo potenziale se si pensa che due Donne tibetane con cani dello stesso autore, solo un anno più tardi, hanno moltiplicato per più di quattro volte la valutazione degli esperti, per un equivalente di circa 5 milioni di euro (Hong Kong, Poly International Auction, 25/11/2012, lot. 406).
Con le tasche ormai piene, tiriamo le somme. Le migliori opere canine hanno il potenziale di capovolgere la logica delle fondamenta più ovvie dell’acquisto. In questi casi il soggetto anticipa l’attribuzione, la conservazione e le notizie di provenance. A nessuno dispiacerebbe arredare con un soggetto animalier, ma le ragioni di una tale singolarità strabordano dalle analisi dei grafici del mercato e si insinuano in quelle più labirintiche, e al contempo più banali, delle sinapsi del collezionista. Talvolta condizionate da un ricordo biografico che basta a far scatenare reazioni impreviste, il più delle volte inconsce, di attrazione incondizionata. La volontà di riunirsi a quello che sembra a tutti gli effetti il proprio cagnolino dell’adolescenza, quello del vicino che ci piaceva tanto, un randagio che non si è riusciti a portare a casa. Nella casistica più scontata, l’amico a quattro zampe che tutt’ora abita la nostra casa. In quella più ossessiva, la sublimazione di un eterno bisogno di affetto insoddisfatto. Un subdolo meccanismo emotivo che pilota la scelta accecando anche il più capace dei calcolatori. Il manuale del buon compratore fa da lettiera a un musetto che ne impone una tutta sua, vincolando la scelta dell’opera a ragioni esterne: il simile compra il simile. Allora il proprietario di un maltese ne cercherà un altro che gli somiglia, ignorando il carlino del lotto precedente. Ma il mercato non esclude incredibili eccezioni: un artista sopraffino e un levriero elegantissimo, entrambi a frutto di una tela apparecchiata con il gioco impossibile del nero su nero, nella provenienza figura il nome della famiglia Rothschild. Il Ritratto della Marchesa Luisa Casati con un levriero, celeberrima opera di Giovanni Boldini (1842-1931), nel 1995 ha trovato un fortunato acquirente che ha portato a casa il cane e la sua nobile padrona per poco più di un milione di euro (New York, Christie’s, 01/11/1995, lot. 6). Questa volta, inaspettatamente, una cifra ben inferiore alla stima. Ha senso scommettere fantasticando sul risultato di una futura apparizione? Già che ci siamo, con una provocazione: tagliamo il levriero e incorniciamolo a parte.
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