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Maurizio Cattelan, «Bones», 2025.

Credits Lorenzo Palmieri.

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Maurizio Cattelan, «Bones», 2025.

Credits Lorenzo Palmieri.

Banane? Piccioni? No, un’aquila schiantata a terra in mezzo alla fiera. Maurizio Cattelan torna a Miami con «Bones»

Ad Art Basel Miami 2025 Gagosian presenta «Bones» di Maurizio Cattelan, un’aquila distesa a terra che riduce il simbolo del potere alla sua essenza materiale. Ispirata all’aquila di Giannino Castiglioni del 1939, l’opera trasforma la monumentalità in fragilità

Nicoletta Biglietti

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Il potere è a terra. Inerme. Ossa in vista, volto schiacciato e nessuna via d’uscita. È un simbolo spento, ridotto alla «sola» materia, quello che Gagosian presenta ad Art Basel Miami 2025. «Bones» di Maurizio Cattelan evidenzia una riflessione che l’artista porta avanti da anni: quella della simbologia del potere ridotta ai suoi resti. L’opera arriva negli Stati Uniti con un corpo che conserva tutte le sue contraddizioni e una storia che ha perso qualsiasi traccia di trionfo. Cattelan non si presenta come storico o sociologo, e non ha mai cercato un ruolo da interprete ufficiale della memoria collettiva. Lavora da artista che osserva i simboli quando iniziano a incrinarsi, quando la retorica si svuota, quando un monumento perde la ragione per cui è stato creato. Ed è in quella frattura che interviene.

Bones ha un’origine precisa. Nel 1939 l’acciaieria di Stato Dalmine commissiona allo scultore Giannino Castiglioni un’aquila dedicata al discorso che Mussolini aveva tenuto agli operai vent’anni prima. L’opera nasce per riaffermare un «mito politico», viene collocata nella piazza che celebra l’episodio e incarna una retorica di potere che allora sembrava destinata a durare. La guerra, però, ribalta tutto: i bombardamenti del 1944 danneggiano la piazza, il regime cade, il monumento perde scopo e posizione. Inizia l’oblio. Nel dopoguerra l’aquila viene spostata nella colonia estiva dell’azienda, ai piedi delle Orobie. Lì assume un senso diverso, più naturalistico che politico, finché anche questo passaggio si esaurisce: la colonia chiude, e l’opera finisce nei depositi. Un simbolo «disattivato».

È da questa parabola che Cattelan riparte: guarda la traiettoria di quella figura, la sua ascesa e il suo archivio, e la traduce in un’immagine essenziale: una caduta che non prevede ritorni. La scultura in marmo – elemento «Michelangiolesco per eccellenza» – rappresenta un’aquila distesa a terra, le ali sono aperte, e immobilità assoluta. Non c’è verticalità, non c’è elevazione, non c’è la postura classica del monumento che impone distanza e autorità. La caduta è frontale. Cattelan toglie il volo, la retorica e il ruolo. E così di quel simbolo rimangono solo le ossa («Bones», appunto). L’uso del marmo acuisce però la contraddizione. Il materiale della celebrazione, della storia nobile, dei miti eternizzati, diventa la superficie che fissa un «cedimento irreversibile». L’aquila non si rialza: viene cristallizzata nella posizione di chi non ha più nulla da sostenere. Questa orizzontalità, però, per Cattelan non è isolata.

Maurizio Cattelan, «Bones», 2025. Credits Lorenzo Palmieri.

È una linea coerente nella sua ricerca, in cui figure che ci si aspetterebbe dominanti, centrali o anche «solo» erette vengono sistematicamente portate a terra. Lo si vede ne «La Nona Ora», dove Papa Giovanni Paolo II giace colpito da un meteorite, in «Breath Ghosts Blind» dove un uomo riposa accanto al cane e nell’emarginato disteso su una panchina in «November». In tutti questi casi, Cattelan trasforma la «monumentalità» in testimonianza dell’umano concreto, spesso nascosto o emarginato, smantellando l’idea che il monumento debba simboleggiare ascesa, trionfo o idealità. L’orizzontalità diventa così una strategia critica, documentata e visibile. In questo senso, le sue opere costruiscono una «monumentalità rovesciata», che celebra non la gloria, ma la fragilità, la precarietà e la verità dell’esistenza quotidiana. È lì che il «monumento» si trasforma: da simbolo di potere a riflessione sulla condizione umana, sempre posta a terra, sempre a contatto con la realtà.

Prima di arrivare a Miami, «Bones» ha occupato l’Oratorio di San Lupo a Bergamo, uno spazio che per secoli è stato una soglia: un luogo di passaggio tra l’esposto e il nascosto, tra ciò che viene ricordato e ciò che viene rimosso. L’architettura non protegge né celebra: la sua austerità, le pareti nude e il silenzio secolare mettono a nudo ogni forma, ogni gesto, ogni crollo. In questo contesto, la caduta dell’aquila non è solo «una scena», diventa una condizione permanente, evidente e inevitabile.
Art Basel Miami il gesto cambia contesto. Il «simbolo svuotato» entra in un sistema globale, tra mercato, immagini e narrazioni che costruiscono e disfano poteri ogni giorno. Portare negli Stati Uniti un simbolo ridotto all’essenziale significa confrontarsi con ciò che resta quando il potere perde la propria immagine. L’aquila, un tempo emblema di dominio, si presenta come un animale bloccato, incapace di ascendere, privo di direzione. Resta al suolo.

In questa immobilità, «Bones» non argomenta, mostra. Mostra che un simbolo può sopravvivere alla propria funzione pur non rappresentando più nulla. Mostra il residuo di un potere che non regge il peso della propria storia. Mostra la forma finale di ciò che un tempo imponeva distanza e oggi è soltanto un corpo inerme.
A Miami, tra collezionisti, mercato, immagini e narrazioni in continuo mutamento, l’aquila di Cattelan rimane dove Cattelan l’ha posta: bassa, orizzontale, muta. Non cerca redenzione. Non pretende spiegazioni. Mostra la fine di un mito. E lo lascia lì, a terra.
 

Nicoletta Biglietti, 03 dicembre 2025 | © Riproduzione riservata

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