Roberta Bosco
Leggi i suoi articoliLa periferia nasce e si sviluppa tra città e campagna, tra «i vantaggi della natura e le comodità della città», recita l’eterno mantra promozionale suburbano, ripetuto instancabilmente dagli albori del XIX secolo. Nonostante le promesse idilliache di prati verdi, piscine azzurre e famiglie felici, i sobborghi celano una realtà sinistra e inquietante, come se si trattasse solo di una scenografia costruita per nascondere mostri. Esistono molti tipi di periferia: dalle distese di case unifamiliari con il recinto di legno bianco, l’altalena, la casa sull’albero e le risate dei bimbi, che incarna il sogno americano, ai sobborghi senz’anima dove trionfano le attività illegali e si aggirano i relitti della società.
Di questa dualità ambigua e contradditoria parla «Suburbia. La costruzione della città basata sul sogno americano», con cui il Centre de Cultura Contemporània de Barcelona (Cccb) celebra il suo 30mo anniversario. La mostra, aperta dal 19 marzo all’8 settembre, analizza la storia delle periferie statunitensi, particolarmente presenti nell’immaginario collettivo, grazie a film, serie televisive, romanzi, fotografie, fumetti e opere teatrali.
«La periferia è l’emblema dello stile di vita americano, la maggior parte degli americani vive lì dagli anni ’90 e la cultura americana è una delle più influenti al mondo. Forse è questo il maggiore dei paradossi, che uno spazio apparentemente aculturale come la periferia abbia prodotto una sottocultura così estremamente ricca», spiega il curatore Philipp Engel, che si è avvalso della consulenza di Francesc Muñoz, docente di Geografia Urbana e direttore dell’Osservatorio sull’Urbanizzazione dell’Università Autonoma di Barcellona.
«L’America delle periferie non è solo uno spazio mentale, ma soprattutto un modello urbano che ha vissuto negli anni un’evoluzione complessa e ha ampliato il suo potere di seduzione oltre il suo territorio d’origine, esportandone anche tutte le sue problematiche», continua il curatore. Nonostante sia un modello ecologicamente insostenibile basato sui continui spostamenti in auto («Un sobborgo del New Jersey inquina più di tutto il Lower Manhattan», assicura Engel), la periferia continua a esercitare il suo magnetismo e ancor di più dopo lo shock claustrofobico della pandemia.
Attraverso materiali storici, fotografie, illustrazioni e installazioni artistiche di importanti creatori come Joel Meyerowitz, Norman Rockwell, Nina Leen, Bill Owens, Todd Hido, Angela Strassheim, Ed Templeton, Gabriele Galimberti, Jessica Chou, Weronika Gęsicka, Gregory Crewdson o Elías León Siminiani, la rassegna ripercorre la storia culturale del sobborgo americano, a partire dagli anni ’50, esplorando le varie implicazioni politiche del suo consolidamento, le conseguenze ecologiche della sua dipendenza dai combustibili fossili e i chiaroscuri di genere e di razza al servizio del discorso egemonico. Lo dimostra Norman Rockwell, che dopo aver dipinto per decenni la vita quotidiana della classe media, all’età di 70 anni compie una svolta radicale e s’impegna nella lotta per i diritti civili, contribuendo a sfatare l’asettica perfezione dei sobborghi.
«Suburbia è un fenomeno pop che attrae per la sua ambivalenza, tra l’astratto e il concreto, tra l’attraente e l’insostenibile, tra la tranquillità e la paranoia», afferma il curatore, citando la fotografa polacca Weronika Gęsicka, che gioca con quest’idea, tuffandosi negli archivi fotografici degli anni ’50 e ’60, per modificare le immagini con Photoshop, «creando un catalogo di ricordi in cui realtà e finzione sono indistinguibili».
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