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Francesca Romana Morelli
Leggi i suoi articoliMorto per alcolismo a 54 anni e «scomunicato» perché rifiutava l’Eucarestia perfino nel giorno di Pasqua (come invece era imposto al popolo romano), Bartolomeo Pinelli (1781-1835) fu sepolto nella Chiesa dei Santi Vincenzo e Anastasio grazie ai pittori dell’Accademia di San Luca, che forzarono la parrocchia ad accogliere le sue spoglie. Pittore e scultore dai natali trasteverini, si rivelò un enfant prodige che in seguito sfoderò un talento onnivoro. Frequentò salotti eruditi e artisti importanti; tra gli altri Canova, Camuccini e Thorvaldsen.
Si schierò a favore del governo napoleonico, che lo coinvolse in progetti di natura diversa. Con il ritorno del papa fu protagonista di tragici episodi di cronaca e di brigantaggio.
Fino al 25 giugno Marco Fabio Apolloni propone oltre settanta tra disegni, acquerelli e terracotte (sei) di Bartolomeo Pinelli; dalla produzione neoclassica a quella romantica, che si tinge di un’ideologia legata alle radici nazionali, come mostrano le illustrazioni degli usi e dei costumi popolari (non soltanto romani) e dei classici, tra cui l’Eneide, l’Orlando Furioso e Don Chisciotte: «Nessun artista è stato più romano di lui e universale, o più fecondo», dichiara Apolloni.
«È inevitabile che la mostra sia un semplice omaggio a un artista dimenticato, che invece meriterebbe un’esposizione in grado di restituire spessore e orizzonti della sua caratura artistica. È poco rappresentato nei musei, ma le decine di terrecotte della collezione di Alberto Sordi, caro amico di mio padre Fabrizio, troverebbero una sede naturale a Palazzo Braschi». In mostra pure alcuni lavori di due suoi imitatori pressoché coevi, Vincenzo Gajassi e Salvatore Busuttil, e del figlio Achille Pinelli.
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