A soli otto mesi dalla sua nomina a direttrice dell’Accademia Carrara di Bergamo, Martina Bagnoli, ha dato le dimissioni dall’incarico, sostituita (in tempo record) da Maria Luisa Pacelli, che a sua volta da poco lasciato la Pinacoteca Nazionale di Bologna, non confermata dalle recenti nomine ministeriali ai vertici dei musei statali autonomi.
Bagnoli, già direttrice delle Gallerie Estensi (polo museale autonomo del Ministero, che comprende la Galleria Estense di Modena con la Biblioteca Estense Universitaria e il Museo Lapidario, il Palazzo di Sassuolo e la Pinacoteca Nazionale di Ferrara), cui ha dato un forte impulso, e prima ancora curatrice di Arte medievale al Walters Art Museum di Baltimora (Usa), la studiosa, dotata anche di competenze manageriali, ha preferito lasciare l’incarico in un’istituzione prestigiosa come l’Accademia Carrara, non riconoscendo il proprio ruolo nella struttura gestionale della Fondazione Accademia Carrara (presidente Elena Carnevali, general manager Gianpietro Bonaldi) cui il museo fa capo.
Va anche rammentato che di poco più lunga era stata, tra il dicembre 2015 e il gennaio 2017, la direzione di Emanuela Daffra, arrivata a Bergamo dopo una lunga attività nella Pinacoteca di Brera con posizioni di vertice, e dopo Bergamo nominata direttrice del Polo Museale della Lombardia, e oggi (dal maggio scorso, dopo un interim) soprintendente dell’Opificio delle Pietre Dure di Firenze.
Dottoressa Bagnoli, ci spiega le ragioni delle sue dimissioni dopo soli otto mesi?
Otto mesi sono pochi, lo so bene, ma sono stati sufficienti per capire, come dicono sbrigativamente gli americani, che non era un «good fit». Mi sono resa conto di non poter fare ciò che sapevo fare. Qui, infatti, la posizione del direttore è in subordine, perché tutto ciò che attiene ai poteri decisionali (risorse umane, risorse finanziarie, comunicazione e altro) è in mano a un’altra persona (il direttore generale Gianpietro Bonaldi, Ndr). Chi voglia fare un serio lavoro di programmazione delle strategie culturali non lo può fare, perché manca la contezza dei mezzi e delle risorse finanziarie. Mi sono resa conto che il lavoro previsto non era adeguato al mio ruolo, trattandosi a mio avviso di un posto più adatto a un conservatore capo che a un direttore.
Si è parlato anche di un dissidio relativo a una mostra da lei programmata e rinviata dai vertici della Fondazione.
Avevo sì programmato una mostra molto interessante sulle pietre dipinte, con prestiti rari da collezioni private, ma il punto non è questo. In realtà si tratta di una visione molto diversa del ruolo del museo, più votata al marketing da un lato, più tesa al lavoro di mediazione, tutela, conservazione, ricerca e di servizi educativi da parte mia. Sono poi state acquistate opere per il giardino senza alcun mio coinvolgimento e lo stesso è accaduto con i servizi educativi, e si è interloquito con colleghi per mostre di arte contemporanea, senza mettermi al corrente. Di fronte a queste difficoltà e a questa diversa visione non c’è stata possibilità di comporre la questione.
Ha già dei progetti per il prossimo futuro?
Al momento no, e ammetto che questa non è stata una decisione facile ma a una certa età, e con una storia alle spalle, non mi sembrava giusto rimanere in un luogo dove non potevo svolgere appieno le mie competenze. Vorrei porre l’accento sul fatto che la vera riflessione da fare sia proprio quella sul ruolo delle competenze che vogliamo per queste istituzioni culturali di altissima tradizione. Ovvio che un direttore è consapevole di dover perseguire strategie manageriali, ed è giusto che sia così, ma i musei non sono aziende: sono istituzioni culturali che usano anche competenze di tipo manageriale. È un discorso più vasto, che non riguarda solo Bergamo. E che va affrontato.
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