L’intervista rilasciata dal direttore generale di Brera, James Bradburne, a «Il Giornale dell’Arte» (per il dorso «Vedere a Milano», allegato al numero di aprile e distribuito a Milano durante l’ultima edizione della fiera miart) ha suscitato in città, e nella stessa fiera, un discreto fermento.
Pochi giorni dopo, il 7 aprile (stimolato non dalla nostra intervista, bensì da fonti interne al CdA di Brera) Pierluigi Panza usciva sulle pagine milanesi del «Corriere della Sera» con l’articolo intitolato «Brera, la Pinacoteca «svuota» Palazzo Citterio e presta le collezioni al Comune: si allontana il nuovo museo di Milano».
Dopo la secca smentita del direttore Bradburne («Smentisco categoricamente quanto riportato nell’articolo. Palazzo Citterio aprirà nel 2023, come previsto sin da mio arrivo nel 2015, con le due collezioni “Jesi” e “Vitali” esposte attualmente nelle sale Napoleoniche della Pinacoteca di Brera. Ho promesso di portare a termine la visione di Franco Russoli (direttore di Brera dal 1957 alla sua morte, nel 1977, Ndr)e quindi di esporre le collezioni moderne della Pinacoteca di Brera a Palazzo Citterio. Questa è la mia missione e la porterò a termine nonostante tutti gli ostacoli di diverso tipo che ci sono stati in questi anni», pubblicata da varie testate), l’8 aprile, dalle stesse colonne del «Corriere della Sera» (pagine di Milano), « Francesca Bonazzoli citava la nostra intervista a conforto della tesi espressa il giorno precedente da Pierluigi Panza».
Nell’intervista a «Il Giornale dell'Arte», però, James Bradburne non parlava affatto di «cessione» al Comune delle collezioni Jesi e Vitali. Piuttosto, si rammaricava per la perdita della collezione Mattioli (ora depositata al Museo del Novecento, istituzione di proprietà del Comune), causata dai ritardi del cantiere di Palazzo Citterio («Il lungo ritardo ha fatto sì che il mio grande sogno di portare qui la collezione Mattioli sia sfumato. Abbiamo perso un’opportunità. [...] Con Laura Mattioli e con il figlio, Giacomo Rossi, abbiamo stretto un accordo sul quale ero molto ottimista. Poi, date le circostanze, ho convenuto con loro che il deposito per cinque anni al Museo del Novecento si dovesse fare: era più importante che la collezione fosse visibile, piuttosto che fosse “nostra”») mentre auspicava, da parte sua, che «la parte pubblica (Stato e Comune, senza inutili distinzioni) istituisse un nuovo grande museo che dall’inizio del ‘900 arrivasse fino a oggi [...]. Insomma, a Palazzo Citterio avremo due collezioni bellissime (Jesi e Vitali), al Museo del Novecento le collezioni Jucker, Mattioli e altre ancora, ma forse sarebbe importante unirle in un edificio che potesse accoglierle tutte». Edificio per il quale, stando sempre nel campo degli auspici, suggeriva l’intervento di Renzo Piano.
A Palazzo Citterio dunque, dichiarava Bradburne, «avremo due collezioni bellissime (Jesi e Vitali)» (avremo, non avremmo): il che, da solo, basterebbe a smentire la volontà di cedere o prestare alcunché al Comune (come lasciava intendere l'articolo del «Corriere»). Un’operazione peraltro irrealizzabile anche dal punto di vista giuridico, come conferma Stefano Zuffi nella sua dichiarazione dell’8 aprile al «Corriere della Sera»: «La verità è che quell’operazione non è praticabile perché esistono dei vincoli. Poi, come storico dell’arte e libero cittadino, posso dire che sarebbe bello se a Milano ci fosse un grande museo di arte moderna».
Spiace che un’esposizione inequivoca abbia potuto ingenerare interpretazioni fuorvianti, mentre riguardo all’affermazione di Panza «nel corso dei decenni, due delle quattro collezioni che si pensava potessero trovare casa a Palazzo Citterio se ne sono andate in trasferta: la collezione Jucker e la collezione Mattioli, donate a Brera (Stato italiano) saranno “temporaneamente” ospitate al Museo del Novecento, di proprietà del Comune», occorre rammentare che la collezione Jucker, destinata anch’essa a Brera, dopo annosi intralci e rinvii, fu venduta dagli eredi al Comune di Milano nel lontano 1992 (non senza polemiche per l’importante esborso, che tuttavia, nel tempo si è rivelato assai lungimirante). Senza contare che attualmente la stessa non si trova alla Gam, come scrive Bonazzoli, bensì proprio nel Museo del Novecento.
Insomma, qualcuno ben più autorevole di noi avrebbe potuto commentare: «molto rumore per nulla». O meglio, molto rumore per quello che (nella nostra intervista almeno) era un augurio di James Bradburne per Milano, la città da lui molto amata che però, dopo aver finalmente inaugurato Palazzo Citterio con le collezioni Jesi e Vitali (e con cos’altro, altrimenti?), si appresta a lasciare allo scadere del suo mandato, alla fine del 2023.
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