Image

Verifica le date inserite: la data di inizio deve precedere quella di fine

Image
Image

Brigitte Bardot, Marilyn Monroe, Elizabeth Taylor. Il trittico divino sulla tela di Andy Warhol

Il trittico Monroe–Taylor–Bardot non è soltanto una galleria di dive, ma una teoria visiva della celebrità moderna. Tre volti, tre tempi, tre modi di diventare immagine. E forse, tra tutte, è proprio Bardot a essere, come suggeriva Warhol, la vera protagonista.

Le dive di Andy Warhol sono eventi visivi, nodi in cui convergono cinema, desiderio, morte, malattia, politica dell’immagine e cultura di massa. Marilyn Monroe, Elizabeth Taylor e Brigitte Bardot costituiscono, in questo senso, un vero e proprio trittico warholiano, non pensato come tale in origine ma leggibile oggi come una sequenza logica e storica: tragedia, sopravvivenza, presenza.

Marilyn Monroe

Il ciclo dedicato a Marilyn Monroe nasce nel 1962, immediatamente dopo la sua morte. È un dato cruciale. Warhol lavora su un volto già trasformato in reliquia mediatica, utilizzando una fotografia promozionale del film Niagara. Marilyn non è più una donna, ma un’immagine che circola senza corpo. Il procedimento è freddo, seriale, ripetitivo. Il volto viene moltiplicato, deformato dal colore, reso innaturale. I capelli giallo acido, le labbra rosso artificiale, gli occhi cerchiati di blu non restituiscono vitalità, ma spersonalizzazione. Marilyn è una maschera, una superficie. Qui Warhol compie un’operazione radicale: mostra come la celebrità sopravviva alla morte biologica, anzi si rafforzi. L’immagine diventa autonoma, indifferente al destino umano. Marilyn è il fantasma perfetto della cultura di massa, icona tragica e consumabile, già postuma nel momento in cui viene dipinta.

Andy Warhol, Marilyn Monroe, 1967

Elizabeth Taylor

I ritratti di Elizabeth Taylor, realizzati tra il 1964 e il 1965, segnano un primo slittamento. Taylor è viva, ma gravemente malata. Warhol stesso dichiarò di averla ritratta quando «tutti dicevano che sarebbe morta». L’immagine non segue la morte, ma la anticipa. A differenza di Marilyn, Liz Taylor non appare svuotata o distante. Il volto è monumentale, carico di colore, quasi aggressivo nella sua bellezza. Gli occhi viola, il trucco pesante, la pelle innaturale trasformano la vulnerabilità fisica in eccesso visivo. La malattia non spegne l’icona, la amplifica. Taylor incarna una nuova fase: non più la diva tragica già consumata, ma la star che resiste, che sopravvive al proprio corpo. Se Marilyn è l’immagine dopo la vita, Liz è l’immagine che combatte contro la possibilità della fine. Il glamour diventa una forma di difesa, quasi una corazza.

Andy Warhol, Liz Taylor, 1973

Brigitte Bardot

Il ritratto di Brigitte Bardot del 1974 arriva molto più tardi e in un contesto diverso. Bardot è viva, sana, famosa. Eppure, ha appena annunciato il ritiro dal cinema. Non è malata né morta: ha scelto di sottrarsi. Questa differenza è decisiva. Warhol non lavora più sull’assenza (Marilyn) né sulla minaccia della perdita (Taylor), ma su una presenza che decide di fermarsi. Bardot non è un’icona tragica, ma una figura autonoma, consapevole. Formalmente, Warhol utilizza strumenti simili: inquadratura frontale, volto che riempie la tela, colori accesi su occhi e labbra. Ma l’effetto è opposto. L’immagine non è fredda né seriale: è calda, cinematografica, sensuale. Bardot guarda lo spettatore. Non si dissolve, non resiste: esiste.

Il volto immerso in tonalità rosa-viola elettrico non appare come un simulacro pop, ma come una vamp moderna. Il trucco è minimo, quasi fedele alla sua estetica reale. Warhol non trasforma Bardot in un prodotto: la intensifica. È qui che il pop diventa quasi pittura psicologica. Bardot viene ritratta solo nel 1974. Negli anni Sessanta era ancora troppo presente, troppo attiva, troppo viva per essere warholiana. Warhol interviene quando l’immagine smette di fluire e può essere cristallizzata. In questo trittico ideale, Warhol racconta anche l’evoluzione della propria pratica. Da Marilyn a Bardot, l’artista passa dalla serialità impersonale a una forma di ritratto iconico più denso, meno cinico, più attento alla specificità del soggetto. Se Marilyn è il simbolo dell’America che consuma le sue dee, Bardot è la figura europea che sfugge al consumo totale, trasformandosi in mito politico, culturale, nazionale. Una Marianne pop, più che una vittima del sistema.

Lavinia Trivulzio, 28 dicembre 2025 | © Riproduzione riservata

Altri articoli dell'autore

Atlante europeo (e globale) dell’arte tra storia, riletture e nuovi immaginari: dalle consacrazioni museali ai recuperi critici, ecco una mappa delle mostre più rilevanti.

Se nella luminaria la luce si spegne, qui la parola prende forma luminosa, rivelando pubblicamente un segno privato. Massimo Bartolini è in mostra a San Carlo Cremona fino al prossimo 16 gennaio

Apre al pubblico la prima Casermetta, tra i nuovi progetti di MUVE a Mestre. Un nuovo capitolo di rigenerazione e riattivazione di spazi urbani tra Venezia e Mestre

 

Brigitte Bardot, Marilyn Monroe, Elizabeth Taylor. Il trittico divino sulla tela di Andy Warhol | Lavinia Trivulzio

Brigitte Bardot, Marilyn Monroe, Elizabeth Taylor. Il trittico divino sulla tela di Andy Warhol | Lavinia Trivulzio