Sale Marasino, nel Bresciano, il luogo in cui Bruno Romeda (1929-2017) è cresciuto per trasferirsi poi, dal 1953, in Provenza con il compagno di una vita, l’artista newyorkese Robert Courtright, rende omaggio allo scultore con una personale ospitata dal 24 maggio al 31 maggio 2025 nella Biblioteca comunale «Costanzo Ferrari». Curata da Elena Di Raddo ed Elena Scuri, la mostra «Bruno Romeda. Le geometrie della materia» è realizzata con Fondazione Brescia Musei, l’istituzione che l’artista ha scelto come propria erede: «Un’eredità concreta e ideale insieme: affidandoci il suo patrimonio, spiegano Francesca Bazoli e Stefano Karadjov, rispettivamente presidente e direttore di Fbm, ci sollecitava infatti a operare in favore dell’arte contemporanea, divulgandone i valori e sostenendo coloro che per primi ne sono, o ne sono stati, animatori e protagonisti: gli artisti». La mostra è il primo passo pubblico di questo impegno, in vista della pubblicazione del catalogo generale e della creazione di un percorso espositivo permanente a Brescia.
Artista del metallo, autore dapprima di sculture dai volumi densi e compatti, quando, dai secondi anni ’60, entrò in contatto a New York con i minimalisti, Romeda impresse una svolta al suo lavoro, scegliendo in seguito la via, praticata fino alla fine, della dematerializzazione dell’opera, tanto da guadagnarsi la definizione di «scultore del vuoto»: «Mi piace iniziare con il pieno e svuotarlo, in modo che l’occhio possa concentrarsi», diceva. Nascono di qui le sculture fatte del solo contorno, in bronzo, di forme geometriche primarie e fortemente simboliche (il cerchio, il quadrato, il triangolo) cui l’artista assegnava asperità che generano una vibrazione vitale della materia. Opere di grandi dimensioni, in rapporto stretto con l’ambiente circostante, di cui diventano una sorta di cornice, o di finestra, per costringere l’osservatore a una presa di coscienza anche spirituale del paesaggio: «Voglio che la mia scultura si integri nel paesaggio fino a scomparire. Mi piace disturbare la vista. Mi divertono queste alterazioni della percezione tra la natura e le mie sculture, che [in essa] svaniscono». Esemplare il casale di Opio, presso Grasse, dove la coppia di artisti visse, nel cui giardino le sue sculture minimali interloquiscono con la natura fino quasi a nascondersi in essa, ma numerose sono le sue opere installate in Costa Azzurra e in Italia, come il trittico «Elogio dell’ombra» (1994), realizzato per l’azienda vinicola Ca’ del Bosco di Erbusco (Brescia), in dialogo stretto con l’acqua e con il verde.