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Caravaggio, «Cena in Emmaus». Milano, Pinacoteca di Brera

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Caravaggio, «Cena in Emmaus». Milano, Pinacoteca di Brera

CARAVAGGIOMANIA | Le indagini diagnostiche

Caravaggio scatena passioni e velleità di giornalisti e storici dell'arte: il caso dell'«Ecce Homo» bloccato prima dell'asta a Madrid ha riacceso le smanie

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Giorgio Bonsanti

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In questi giorni i media ci rimbalzano fra Leonardo e Caravaggio. Sull’«Ecce Homo» di Madrid si spende Cristina Terzaghi, studiosa di valore, e quindi la possibilità di un nuovo Caravaggio è concreta. Oltretutto ha avuto il non trascurabile vantaggio di vedere il quadro di persona. Dalle immagini disponibili, ma anche dalle dichiarazioni che si sono lette, è evidente la necessità di un restauro, che oggi non potrebbe più essere di quelli di una volta, ma dovrebbe prevedere tutti i possibili approfondimenti scientifici.

Nel caso di Caravaggio da un trentennio ne sono stati condotti in quantità, anche se non sempre con la consapevolezza della loro specificità, di quanto possono o non possono contribuire. Poiché senza dubbio si eseguiranno delle riprese in riflettografia nelle bande dell’infrarosso, mi permetto di suggerire che si esplorino fino ai limiti dell’infrarosso vicino, fino ai 2.265 nanometri cui si spingono alcune strumentazioni, che soltanto in quel range riuscirono a scoprire la finestra dipinta in un primo momento sul fondo della «Cena in Emmaus» di Brera.

Il caso di Caravaggio è particolare a causa dell’enorme quantità di repliche e copie che accompagnano ogni suo dipinto; con la peculiarità dell’esistenza di repliche anche autografe, in altre parole, di uno stesso quadro dipinto due volte; e di altre per mano di pittori di primissimo rango, tanto che non è sempre agevole giocare la partita dell’identificazione di un originale puntando sul concetto sempre aleatorio della qualità.

Quanto al «Salvator Mundi» di Leonardo, se ne è parlato in relazione con il documentario di Antoine Vitkine trasmesso da un canale francese il 13 aprile. Un funzionario del Louvre avrebbe dichiarato: «L’approfondito esame scientifico del dipinto da parte del Louvre, condotto in segreto (nel laboratorio C2RMF che sta nel sottosuolo delle Tuilieries subito accanto al Louvre, Ndr), è giunto alla conclusione che Leonardo da Vinci ha solo contribuito all’opera». Qui mi sono fermato a meditare su come potessero gli esami scientifici determinare che Leonardo «aveva solo contribuito».

Temo che il dossier delle indagini diagnostiche, immagino a carattere fisico più che chimico, non sarà mai accessibile, ma rimane il quesito: possono essere loro a identificare la mano di un autore? Non è così che funzionano, in linea di principio. Possono dirci se esistono elementi di incompatibilità, per esempio un pigmento non conosciuto all’epoca, e al contrario se l’opera è compatibile con l’autore proposto; un concetto globale, la compatibilità, che riguarda non soltanto l’essenza fisica, ma anche lo stile. Il fatto è che il Salvator Mundi è stato restaurato a due riprese: prima dell’apparizione alla mostra di Londra del 2011 e prima dell’asta del 2017. Un processo progressivo di adattamento che lo ha reso gradevole soprattutto per i sauditi.

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Giorgio Bonsanti, 13 maggio 2021 | © Riproduzione riservata

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