Marco Riccòmini
Leggi i suoi articoliVuole la tradizione o, meglio, la leggenda che alle profezie di Cassandra nessuno prestasse mai fede. Il che, naturalmente, rendeva la fanciulla al tempo stesso frustrata e furiosa (e non è da invidiare chi se ne invaghiva, come Apollo, per dire che, pur di averla, le donò la facoltà della profezia rimanendo ciò nonostante a bocca asciutta).
Che la mitica vergine figlia di Ecuba e di Priamo, re di Troia, fosse bella non v’è ragione di dubitare, ché altrimenti il citaredo e sauroctono figlio di Apelle (passato alla storia per la celebre palla di pelle di pollo) avrebbe posto il suo sguardo altrove. Che quel nome, che oggi suona funesto, fosse in voga nei tempi passati lo si capisce da alcuni piatti dipinti del primo Cinquecento umbro-marchigiano, dove fa la sua comparsa.
Sono quelle che gli specialisti chiamano «coppe amatorie», ossia ciotole poco profonde in maiolica dipinta e invetriata prodotte dalle parti di Gubbio, Casteldurante, Pesaro e Urbino, che venivano omaggiate come pegni d’amore o quali doni nuziali.
L’aggettivo «bella» ricorre spesso tra i cartigli accartocciati a destra e a manca delle fortunate destinatarie di quei regali, a fianco dei loro nomi, e quello di «Casandra» si legge sopra a un piatto esposto (almeno, fino alla scorsa settimana) in una vetrina del Bohdan and Varvara Khanenko National Museum of Arts di Kiev.
Acquistato durante uno dei suoi grand tour italiani sul finire dell’Ottocento da Bohdan e sua moglie Varvara, il piatto mostra contro un fondo blu cobalto una bella dal crine fulvo di tre quarti il cui sguardo elude lo spettatore e punta, sorridendo, altrove. Dove? Che punti forse a Oriente, cioè da dove oggi provengono tutti i guai dell’Ucraina?
Chissà se i russi, prima di risolversi ad armarsi e partire, abbiano tenuto conto del potere magico della mitica profetessa troiana che «infiniti addusse lutti agli Achei» e se chi li guida conosca la tragica fine che fece Agamennone, figlio di Atreo e fratello di Menelao, re di Argo o di Micene, che la volle per sé schiava e concubina? C’è da sperare, una volta tanto, nella forza del mito.
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