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Clarice Pecori Giraldi: «Phillips è una società antica, ma al passo coi tempi»

Michela Moro

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Già ai tempi della sua fondazione nel 1796 Phillips introdusse novità nel campo delle case d’asta: ad esempio intrattenendo i facoltosi clienti, tra cui Lord Brummel e Napoleone Bonaparte, con fastosi ricevimenti di preview.


Nulla di strano quindi se il nuovo direttore regionale per l’Italia, Clarice Pecori Giraldi, dichiara che «la squadra di Phillips è al passo coi tempi, non copia modelli esistenti; i dipartimenti su cui lavoriamo sono chiari; XX secolo e arte contemporanea, design, fotografia, edizioni, orologi e gioielli, gli uffici sono meno importanti di chi ci lavora, l’idea è di investire su personalità che coniughino l’esperienza con il XXI secolo».


Così anche a Londra nella location di Mayfair gli uffici sono un grande open space sopra gli spazi espositivi, mentre gli specialisti viaggiano per il mondo e lavorano come team in modo nuovo. I clienti non sono più divisi geograficamente, ma seguiti personalmente in modo flessibile.


Clarice Pecori Giraldi arriva da Phillips dopo una lunga permanenza da Christie’s: com’è avvenuto il cambiamento? «In realtà è stato un passaggio graduale e fisiologico, già nel 2013 mi occupavo delle Private sale a Londra, quindi il vero cambiamento è stato il rientro in Italia».


Il suo nome si aggiunge a quello di Francesco Bonami e di Carolina Lanfranchi, com’è strutturato il team? «Bonami, senior consultant e advisor, riferisce alla proprietà del Mercury Group e al ceo internazionale, la Lanfranchi è l’esperta e il nostro impegno è quello di ampliare il raggio d’azione di Phillips, seguendo più da vicino venditori e acquirenti. Ormai i nostri clienti comunicano in modo tecnologico, non devono venire in ufficio a consultare i cataloghi come un tempo, e in Italia possiamo fare un buon lavoro».


Phillips nel 2016 riporta un totale di vendite di 567,5 milioni di dollari, con un più 0,48% rispetto all’anno precedente, una crescita del 19% nelle vendite a trattativa privata e un -2% nelle aste.


Un nuovo attore sulla scena italiana, già affollata, farà sì che le fette della torta si assottiglino? «Più concorrenza fa bene al mercato e ai collezionisti, e sarà così anche per noi».


Prevedete aste dedicate all’Italia come quella, Italia appunto, del 2000? «Al momento non c’è un’idea del genere; mi piacerebbe che fosse sul gusto italiano, cross categories, includendo opere dei vari dipartimenti senza ghettizzarle. Il vantaggio è che i nostri dipartimenti hanno tutti la stessa dignità senza serie A e B, e che le nostre proposte sono abbastanza diverse rispetto al mercato, penso all’asta di fotografia dedicata alla pubblicità per le aziende di moda, ci sono Helmut Newton, Albert Watson, Versace, Ferrè: sarebbe riduttivo pensare a un contesto geografico solo italiano».

Michela Moro, 08 aprile 2017 | © Riproduzione riservata

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