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DAYDREAMERS. I sogni a occhi aperti del direttore e di sei galleristi. Pier Stuker Alvarez, Galleria BLUE VELVET, Zurigo

In attesa della 31ma edizione di Artissima sette dialoghi per scoprire come il pensiero spontaneo e creativo plasmi il mondo

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Jenny Dogliani

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In inglese daydreaming, il sogno a occhi aperti è un’attività di pensiero spontaneo e non deliberato, che sta acquisendo una sempre maggiore rivalutazione e una crescente attenzione da parte di neuroscienziati, filosofi e artisti. Ritenuto per secoli una distrazione irrilevante, il daydreaming coincide in realtà con la capacità sorgiva della mente di andare al di là dell’esistente, per proiettarsi in avanti rilanciando la nostra esperinza di vita senza alcun controllo da parte della ragione. Come confermano le ultime ricerche è un pensiero fortemente visivo e creativo, prossimo a quello artistico, capace di anticipare quanto ancora non c’è e di riplasmare il mondo esistente. La parola a Pier Stuker Alvarez, Galleria BLUE VELVET di Zurigo.

Artissima invita quest’anno ad ascoltare i propri sogni ad occhi aperti, chiamando a raccolta una comunità di daydreamers, quella degli artisti e di chi accompagnano il loro lavoro, per intraprendere un viaggio emozionante alla scoperta del potenziale illimitato della mente umana. Quanto contano nel suo lavoro il daydreaming e la condivisione di sogni con artisti e curatori?

In galleria sognare a occhi aperti non riguarda tanto l’evasione dalla realtà quanto la sua espansione e anche la materializzazione dei sogni. Cerco di fare del mio meglio per fornire agli artisti gli strumenti e il supporto di cui hanno bisogno per realizzare le loro visioni, consentendo loro la libertà di esprimere le proprie idee con il minor numero possibile di limiti. Prendiamo ad esempio François Durel, che quest’anno presentiamo con uno stand personale ad Artissima. Il suo lavoro incarna una tensione avvincente tra restrizione e liberazione, utilizzando materiali come cuoio e metallo per creare forme che sono allo stesso tempo oppressive e suggestive, ruvide ed eleganti. Le sue sculture sono piene di narrazioni emotive e storiche, richiamano l’architettura e il modernismo post-bellico per condurre lo spettatore in uno stato anacronistico in cui sogni e incubi diventano un tutt’uno intimo, mettendo a nudo il fatto che il piacere, il desiderio e la vita non possono esistere senza potere, repressione o morte. Come gallerista, è un piacere sognare insieme a François queste idee e concetti.

 Prima che fosse realtà, lavorare nel mondo dell’arte è mai stato il suo sogno a occhi aperti?

Quando ero ancora al college diventare un gallerista era forse una delle mie ambizioni, ma non è mai stato necessariamente un sogno costante. Poi, con l’aumentare della mia esperienza professionale, l’idea è un po’ svanita, soprattutto quando ho cominciato a comprendere le sfide e le complessità del mercato dell’arte. A quel punto, in realtà, sembrava più un sogno irraggiungibile che un obiettivo. Alla fine sono diventato gallerista quasi per caso. Sono una persona piuttosto fortunata e credo di essere stato nel posto giusto al momento giusto. Ora non potrei immaginare di fare altro. Amo il mio lavoro e gli artisti con cui collaboro. Essere gallerista è difficile sotto molti aspetti, ma ho acquisito e imparato e sto imparando così tanto da quando ho iniziato che posso dire con certezza che è diventato una sorta di sogno a occhi aperti.

Ricorda un’opera d’arte che negli anni la ha particolarmente ispirata a sognare a occhi aperti?

È difficile ridurre il tutto a una sola opera o a un solo artista, ma posso citarne alcune che mi hanno colpito. La serie «Body Farm» di Sally Mann è sicuramente una di queste. Le sue immagini di corpi in decomposizione affrontano la mortalità senza mezzi termini, ma c’è qualcosa di bello in esse. Naturalmente, all’inizio c’è un’attrazione morbosa e un certo sensazionalismo che ti cattura. Ma poi ti rendi conto che è solo carne, materiale organico in decomposizione. E questo lo trovo bellissimo di per sé, ma anche perché dimostra che la vita è molto più di «solo carne». Il fatto che ci sia una scintilla che trasforma questa carne in esseri complessi dal punto di vista biologico e psicologico potrebbe essere qualcosa di scientificamente facile da spiegare, ma non smette mai di sorprendermi questa sottile e misteriosa linea tra la vita e la morte. Poi c’è Gordon Matta-Clark, i cui tagli negli edifici continuo a ricordare come una delle opere d’arte urbana o pubblica più interessanti. I suoi interventi mostrano l’inevitabile disgregazione dell’ordine, riflettendo la deriva naturale verso l’entropia e il caos nell’architettura e nella società. Mi colpisce come sia riuscito a esemplificare o mettere in discussione temi così importanti e complessi attraverso interventi relativamente semplici. Inoltre, l’idea di creare sottraendo o rompendo qualcosa è sempre stata affascinante per me. Stelarc è un altro artista che ho sempre ammirato ossessivamente. Le sue prime performance, in cui univa il corpo umano alla tecnologia, mi hanno fatto pensare per la prima volta all’obsolescenza del nostro corpo in relazione alla nostra mente. Il modo in cui ha esplorato il superamento dei limiti fisici, non solo attraverso la tecnologia, ma anche attraverso il dolore, come nelle sue performance di sospensione, mi ha sempre colpito profondamente.

Gli altri dialoghi 

Luigi Fassi 

Galleria  MATTA, Milano

Albion Jeune, Londra

Gloria de Risi, FANTA - MLN, Milano

ANTON JANIZEWSKI, Berlino 


 

Jenny Dogliani, 15 ottobre 2024 | © Riproduzione riservata

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