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Antonio D’Amico. Foto: Elena Datrino

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Antonio D’Amico. Foto: Elena Datrino

D’Amico: «Il Bagatti Valsecchi è una casa in cui tornare spesso»

Il direttore del museo presenta le mostre: un omaggio all’Ucraina con gli acquerelli inediti di Carlo Bossoli e uno a Carlo Zauli, il cui museo è chiuso dopo l’alluvione del 2023. E poi musica, teatro e danza

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Ada Masoero

Giornalista e critico d’arte Leggi i suoi articoli

Entrato nell’ottobre 2021 al Museo Bagatti Valsecchi come conservatore, dallo scorso dicembre, dopo la scomparsa di Pier Fausto Bagatti Valsecchi, Antonio D’Amico (Catania 1979) è il direttore della casa museo voluta nell’Ottocento da Fausto e Giuseppe Bagatti Valsecchi. Dagli anni ’80 del secolo, i due fratelli presero a trasformare il palazzo di famiglia nel cuore di Milano, tra le via Gesù e Santo Spirito, in un sogno neorinascimentale, colmandolo di tesori d’arte di quell’età. Nel 1974 palazzo e collezioni, che formano un unicum inscindibile, furono conferiti all’omonima Fondazione, oggi presieduta da Camilla Bagatti Valsecchi.

Con l’arrivo di Antonio D’Amico (dai Musei Civici di Domodossola, da lui riaperti dopo 40 anni di chiusura), il Bagatti Valsecchi ha più che raddoppiato le presenze. Ne parliamo con lui.

Dottor D’Amico, quali obiettivi si poneva quando è arrivato al Museo Bagatti Valsecchi?
Il primo era far conoscere il museo e le sue collezioni al grande pubblico. Prima del Covid-19 i visitatori annuali erano circa 18mila e poiché le statistiche dicono che trascorrono circa cinque anni prima che si ritorni in un museo, per restringere quel gap decisi di puntare sulla specificità del Bagatti Valsecchi: il suo essere una casa. In una casa si torna spesso, così ho pensato ad attività continuative creando il format «Stasera al museo», un calendario di appuntamenti attinenti alla sua storia. I fondatori amavano organizzare serate musicali e teatrali in costume, con attori e musicisti, e lo scorso anno le serate vertevano proprio su quel tema, ispirandosi al motto latino del Salone d’Onore «Ars Vox Amoris». Quest’anno (per la terza edizione, fino al 31 dicembre, Ndr) abbiamo 14 appuntamenti di musica, teatro e danza ispirati dall’enunciato «Laudamus Veteres Sed Nostris Utimur Annis» (Lodiamo il passato ma viviamo nel nostro tempo), da noi declinato in «Vivere nel tempo». In tal modo i visitatori tornano più volte nell’arco dell’anno, tanto che nel 2023 abbiamo quasi raggiunto i 40mila».

Con quali fondi si sostiene il museo? E quali organi lo guidano?
Il Bagatti Valsecchi è gestito da una Fondazione di diritto privato partecipata da Regione Lombardia, da cui arriva un contributo. E, oltre agli introiti della biglietteria, facciamo un grande lavoro di ricerca sponsor. Il museo ha un Consiglio d’amministrazione cui, dal mio arrivo, si è aggiunto un comitato scientifico di cui fanno parte Nicoletta Boschiero, Davide Colombo, Clarice Pecori Giraldi, Cristina Romelli Gervasoni e Neville Rowley, ognuno dei quali ha competenze specifiche per ciascuna peculiarità della casa museo. Ho anche ampliato il team: ho trovato sette dipendenti, oggi siamo 21, tutti under 40, molti appena usciti dell’università. Il museo è diventato un campus con una forte componente femminile, dove si fa ricerca. Un luogo di formazione e di produzione di cultura, anche da «esportare»: lavoriamo infatti con alcuni Comuni creando progetti di mostre.

Ora, in museo, avete in corso fino al 5 maggio «Carlo Bossoli. Omaggio a Odessa», e dal 10 maggio al 10 novembre «Lo sguardo del sentire. Il Seicento emiliano dalle collezioni d’arte Credem».
La prima è una piccola, preziosa mostra curata da Fernando Mazzocca, che presenta quattro inedite vedute di Odessa, ad acquerello, di Carlo Bossoli (1815-84), dalla collezione Giorgio Baratti. Bossoli, che a Odessa visse, ci restituisce l’immagine del luogo di pace e armonia che era allora: noi vorremmo che la mostra diventasse un momento di riflessione sull’Ucraina di oggi, anche attraverso il progetto «Cara Odessa ti scrivo», cui i visitatori possono partecipare scrivendo i loro pensieri, che confluiranno nella serata del 29 aprile «Al confine tra i due mondi», con due danzatori del Teatro alla Scala, Domenico Di Cristo e Matilde Gherardi, l’attore Michele Piccolo e la pianista ucraina Hanna Buhakova. La seconda, curata da me e Odette D’Albo, si fonda sul principio dell’arte che aiuta l’arte a rinascere: qui una scelta di opere dei maestri emiliani del Seicento (Guido Reni, Lanfranco, Camillo Procaccini e altri) della collezione Credem è affiancata da un focus su Carlo Zauli (1926-2002), maestro e grande innovatore della scultura ceramica, il cui museo faentino è stato travolto dall’alluvione del 2023. Una piccola maggiorazione del biglietto contribuirà al restauro di alcune sue opere. La presentazione di collezioni importanti ma poco accessibili al grande pubblico resterà il filo conduttore della nostra programmazione, in omaggio anche al detto latino posto all’ingresso: «Amicis pateo aeternumque patebo» (Sono aperta agli amici e sempre lo sarò). Le collezioni entreranno come amiche nella casa museo dei Bagatti Valsecchi.

Ci saranno novità allestitive?
No, desidero lasciare integro l’allestimento dei fondatori. Tuttavia, poiché al loro tempo si stava passando dalle candele all’elettricità, abbiamo avviato la raccolta fondi «Illumina il Museo» a sostegno di un innovativo progetto illuminotecnico studiato dallo studio Gms di Margherita Suss con la preziosa collaborazione di Guzzini per realizzare di un nuovo sistema di illuminazione museale. Per me è imprescindibile valorizzare sempre l’identità del museo. Una domanda mi ossessiona: i fratelli lo farebbero? E a essa desidero rispondere al meglio. 
 

Antonio D’Amico. Foto: Elena Datrino

Ada Masoero, 03 aprile 2024 | © Riproduzione riservata

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