Image

Jo Baer, «Snow-Laden Primeval (Meditations, on Log Phase and Decline rampant with Flatulent Cows and Carbon Cars)», 2020 (particolare)

© Jo Baer. Cortesia di Pace Gallery

Image

Jo Baer, «Snow-Laden Primeval (Meditations, on Log Phase and Decline rampant with Flatulent Cows and Carbon Cars)», 2020 (particolare)

© Jo Baer. Cortesia di Pace Gallery

Dall’astrazione alla «figurazione radicale»: addio a Jo Baer

La pittrice americana è scomparsa a 95 anni. Nella New York degli anni Sessanta, dominata da artisti uomini, si era imposta come figura centrale del Minimalismo 

Gabriella Angeleti

Leggi i suoi articoli

È morta il 21 gennaio, all’età di 95 anni, la pittrice americana Jo Baer, nota soprattutto per il suo monumentale contributo all’astrazione minimalista e poi alla figurazione. A comunicarne la scomparsa  è stata la Pace Gallery, che rappresentava l’artista dal 2019. «È stata una pittrice visionaria che si è fatta un nome nel mondo dell’arte newyorkese degli anni Sessanta, dominato dagli uomini, la ricorda Samanthe Rubell, presidente della galleria. Lavorando a stretto contatto con Jo, sono sempre stata colpita dalla sua forza e impavidità e dalla sua capacità di reinventare sé stessa e il suo approccio alla pittura nel corso della sua carriera».

Baer era nata Josephine Gail Kleinberg a Seattle, Washington, nel 1929. Incoraggiata dalla madre, che avrebbe voluto diventasse un'illustratrice medica, studia biologia all’Università di Washington, iscrivendosi anche a corsi introduttivi di pittura e disegno. In seguito consegue una laurea in psicologia presso la New School for Social Research di New York, mentre lavora come disegnatrice per uno studio di interior design. Nel 1953 Baer a Los Angeles sposa l’autore televisivo Richard Baer, dal quale nel 1955 ha un figlio, il consulente d’arte Josh, autore della  newsletter «The Baer Faxt». Dopo il divorzio da Baer, Jo nel 1960 sposa il pittore John Wesley. I due si trasferiscono a New York e qui Baer emerge come figura centrale del movimento minimalista. Per tutti gli anni Sessanta e Settanta ha esplorato la non oggettività con dipinti in bianco e nero dai contorni duri, incentrati sulle sfumature della forma, del colore e delle relazioni spaziali. Il suo lavoro era caratterizzato da forme geometriche precise e da una tavolozza sobria, che enfatizzava il dipinto come oggetto a sé stante.

In quel periodo Baer espone a New York presso importanti gallerie quali Fischbach e Dwan, ed è spesso presente accanto a colleghi come Donald Judd, Dan Flavin e Sol LeWitt. So lavori figurano nel 1966, in «Systemic Painting», mostra con cui il Solomon R. Guggenheim Museum esplorava l’emergente astrazione geometrica, e, due anni dopo,  a Documenta, a Kassel. Nel 1975, il Whitney Museum of American Art le dedica una retrospettiva mid-career, esponendo i suoi dipinti minimalisti. Alla ricerca di nuovi orizzonti artistici, nello stesso anno Baer lascia New York per l’Europa, dichiarando di voler lavorare in un ambiente meno ostile alle donne e meno incentrato sul mercato. Il suo lavoro inizia anche ad allontanarsi dalla pura astrazione, incorporando elementi figurali, testi e simboli che sfidano i precedenti confini dell'estetica minimalista. Trascorre alcuni anni in Irlanda e a Londra prima di stabilirsi ad Amsterdam nel 1984, dove  ha continuato a lavorare fino alla fine della sua vita.

In una lettera ad «Art in America» del 1983, in cui afferma di non essere più un’artista astratta, Baer conia il termine «figurazione radicale». In merito alla sua decisione di allontanarsi dal Minimalismo, Baer ha dichiarato di volere nel suo lavoro «più materia e più significato». In un’intervista rilasciata ad «Artnet News» in occasione di una visita in studio nel 2020, alla domanda su quale caratteristica ammirasse o meno in un’opera d’arte, Baer ha risposto: «Ammiro l’originalità e il “genuino”. Non mi piacciono i cliché e le opere logore (astratte e non)».

Le sue opere sono presenti in importanti collezioni museali internazionali, tra cui la National Gallery of Art di Washington, il Museum of Modern Art (MoMA) di New York, lo Stedelijk Museum di Amsterdam, la Tate di Londra e la National Gallery of Australia di Canberra. Negli ultimi anni, inoltre, l’artista ha partecipato a diverse importanti collettive, tra cui la Biennale di San Paolo del 2014, la Biennale del Whitney del 2017 e, nello stesso anno, la mostra «Making Space: Women Artists and Postwar Abstraction» al MoMA, incentrata sulle donne artiste il cui lavoro era stato eclissato dai loro contemporanei maschi. 

L'ultima retrospettiva dell’opera di Baer è stata organizzata dallo Stedelijk nel 1999. Nel 2023 l’Irish Museum of Modern Art di Dublino le ha dedicato la mostra «Coming Home Late: Jo Baer In the Land of the Giants».

 

 

Jo Baer nel 2020. Foto © Yaël Temminck

Gabriella Angeleti, 23 gennaio 2025 | © Riproduzione riservata

Altri articoli dell'autore

La gallerista dice che il suo nuovo spazio a Jackson Square prova che l’arte «pianta i semi per la ricrescita» nel cuore della città

 

Il nuovo presidente del Paese sudamericano aveva definito l’educazione artistica una «perdita di tempo». Ora fa i conti con un’inflazione al 140%

I musei tentano un approccio più ludico: due enti statunitensi attraggono scolaresche, bambini e famiglie con l’offerta di giochi didattici, mentre in tutto il mondo si inizia a sperimentare la realtà aumentata

L’insediamento dei Nativi americani, paragonato per importanza archeologica a Stonehenge e a Machu Picchu, avrà l’opportunità di diventare Patrimonio dell’Umanità

Dall’astrazione alla «figurazione radicale»: addio a Jo Baer | Gabriella Angeleti

Dall’astrazione alla «figurazione radicale»: addio a Jo Baer | Gabriella Angeleti