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Monica Trigona
Leggi i suoi articoliUna notizia che arriva direttamente dal sito ufficiale della mega galleria: David Zwirner annuncia ufficialmente la rappresentanza delle opere di Yoshitomo Nara, uno degli artisti giapponesi più amati e riconoscibili a livello internazionale. In collaborazione con Joe Baptista, fondatore della Equivalence Art Agency, la galleria newyorkese inaugurerà prossimamente una mostra dedicata a Nara, segnando l’inizio di un nuovo dialogo tra l’artista e uno dei colossi del mercato globale.
Per Nara, la creazione è un gesto di autoanalisi, un dialogo incessante con sé stesso che trova forma in disegni, dipinti e sculture dalla delicatezza spiazzante. Bambini dagli sguardi obliqui, cani malinconici, figure isolate: protagonisti che oscillano tra tenerezza e inquietudine, portavoce silenziosi di una vulnerabilità universale. La sua poetica nasce lontano dai clamori della metropoli, nella campagna del nord del Giappone segnata dalle ferite del dopoguerra. È lì che l’immaginazione di Nara si è nutrita delle poesie di Kenji Miyazawa, della radio americana, del folk e del blues. Quelle sonorità intime e ribelli hanno formato la colonna sonora di un artista che interroga la realtà contemporanea con sguardo puro e disarmante.
Dopo gli studi in Giappone e i dodici anni trascorsi in Germania — tra Düsseldorf e Colonia — Nara ha costruito un linguaggio riconoscibile, in bilico tra la cultura pop e la pittura esistenziale. Le sue figure, stilizzate e psicologicamente cariche, sono diventate icone globali di un sentimento collettivo, una sorta di innocenza ferita della contemporaneità. Il terremoto e tsunami del Tōhoku del 2011 hanno segnato una svolta nella sua traiettoria: l’artista aveva momentaneamente abbandonato la pittura per dedicarsi a progetti comunitari e sociali. Quando è tornato a dipingere, il suo segno si è fatto più lirico, più trasparente, quasi meditativo — come se la materia stessa della pittura respirasse compassione. «Le mie opere non sono rivolte agli altri, né raffigurano altri», ha dichiarato Nara. «Emergono dal dialogo con me stesso. Credo che chi le guarda, a sua volta, possa trovarvi il proprio io interiore».
Per David Zwirner, l’incontro con Nara è anche un ritorno personale. «Conosco il suo lavoro dai tempi di Colonia, nei primi anni ’90», racconta il gallerista. «Mi colpì perché andava contro le mode post-concettuali: era radicale nella sua sincerità. Le sue opere, come una grande canzone, parlano di vulnerabilità e di libertà». La mostra annunciata a New York rappresenta un nuovo capitolo nella carriera di Nara e anche un incontro tra due generazioni affini.
Infine, non passa inosservata la nota a chiusura della comunicazione da parte della galleria: «Pace Gallery continuerà a mantenere i rapporti con l’artista» (Nara è stato rappresentato infatti per 14 anni da Pace).
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