Jenny Dogliani
Leggi i suoi articoliArtissima porta il mondo a Torino, ma porta anche Torino al mondo. La vocazione a fondere ricerca, mercato e cultura è nel suo Dna: il marchio di Artissima è di proprietà di Città di Torino, Regione Piemonte e Città Metropolitan; la sua struttura fa capo ad Artissima srl, società della Fondazione Torino Musei costituita nel 2008 per gestire i rapporti artistici e commerciali della fiera. Artissima è il perno di un sistema di collaborazioni, contaminazioni, programmi e racconti condivisi che prende forma in una serie di progetti speciali all’Oval e in città. Uno dei più felici esempi di questa contaminazione ci porta in un magnifico e imponente fabbricato in mattoni rossi in centro città, tra via Giolitti e via Accademia Albertina. Costruito nel XVII secolo dal Castellamonte come sede dell’antico ospedale di San Giovanni Battista, conserva ancora parte dell’antica farmacia, con gli alambicchi sistemati sugli scaffali in legno intarsiato. Nel 1978, con una legge della Regione Piemonte, diventa Museo Regionale di Scienze Naturali. Nel 2013 l’edificio ha subito gravi danni per un incendio dovuto all’esplosione di una bombola. Lo scorso gennaio, dopo dieci anni, il Museo è stato riaperto con le prime tre grandi sale visitabili al piano terra. La sua collezione, radicata nella storia della città, meta di generazioni e generazioni di scolaresche, oggi, sotto la nuova direzione di Marco Ferrio, vuole aprirsi al mondo: «Non vogliamo solo riaprire le porte, ma vogliamo un museo che si apre a essere vissuto e a contaminarsi con collezioni diverse, con ambiti legati alle scienze naturali e ad altre forme di divulgazione e conoscenza condividendo un contenuto comune», spiega Ferrio. «E quale migliore occasione di una contaminazione con l’arte contemporanea», aggiunge Luigi Fassi. L’opera (immersiva e a quattro mani) che Artissima porta nel museo è di due artisti presenti in fiera: Julian Charrière e Julius von Bismark (Galleria Sies + Höke). Si intitola «Objects in Mirror Might be Closer Than Thay Appear» ed è stata realizzata nel 2016. Gli artisti sono rimasti colpiti dalla sintonia dell’opera con l’allestimento delle tre sale del museo che raccontano la prima l’evoluzione degli animali in funzione degli ambienti in cui vivono o sono vissuti, e dove l’uomo non è presente. La seconda la natura dove l’uomo è presente per esplorarla e conoscerla, la terza dedicata alla bellezza della natura, «uno dei suoi aspetti più importanti, perché dalla bellezza nasce la curiosità e dalla curiosità la conoscenza», spiega Ferrio. Anche l’opera nasce da un’esplorazione, fatta dai due artisti nella zona di alienazione di Černobyl, un’area dal raggio di circa 30 chilometri attorno alla centrale dove il 26 aprile 1986, all’1,23 di notte è esploso il reattore n. 4. Una catastrofe ecologica le cui tracce sono destinate ad avere un’eco per secoli. L’area alienata è ancora inaccessibile per l’alto tasso di radioattività. Ma in virtù dell’assenza dell’uomo, della completa inaccessibilità alle ragioni antropiche quest’area è diventata un luogo selvatico e selvaggio, ricco di fauna e di vegetazione in grande crescita, con una paradossale, importante, biodiversità. «Gli artisti hanno deciso di individuare un testimone eloquente di questo strano insieme di distorsioni: un ambiente che lega la sua evoluzione all’assenza dell’uomo e non alla presenza della radioattività», spiega Fassi. Il testimone è un cervo, sul cui placo gli artisti hanno montato una piccola telecamera puntata sull’occhio. Il cristallino riflette la luce e ha per noi una funzione speculare rispetto al paesaggio circostante: ci mostra il riflesso di quello che vede il cervo, un’immagine eloquente dello stato della natura, prati verdi e foreste fitte. Al tempo stesso è un’immagine distorta dalla forma sferica dell’occhio, «il che ci suggerisce come la rigogliosa natura che vediamo è in realtà una distorsione prodotta dall’esercizio antropico dell’attività nucleare». La stessa curvatura dell’immagine la ritroviamo in spezzoni di repertorio provenienti dagli archivi della Nasa che mostrano le prime immagini del globo terracqueo della terra registrate e viste dallo spazio: «la Terra è un globo sferico, sembra quasi un occhio, lucido come il cristallino del cervo. Anche qui l’immagine è confusa, intuitiva, come se noi non fossimo più lì, come se fosse ormai un territorio remoto e inaccessibile», conclude Fassi.
Un altro profondo dialogo con la città ha luogo nell’ex Zoo, in corso Casale 43, un magnifico parco immerso nel verde sulle sponde del Po. La presenza di uno zoo a Torino risale all’Ottocento, quando i Savoia avevano nei giardini reali uno zoo privato, parzialmente aperto al pubblico. Nel 1955 la Città di Torino decide di costruire uno zoo sulle sponde del fiume, con elefanti, scimmie, giraffe, tigri, leoni, animali acquatici e rettili. L’esperienza si conclude appena una trentina di anni più tardi, quando con una sensibilità piuttosto anticipatrice, a Torino si forma un movimento di protesta contro il disagio fisico e psichico degli animali reclusi in gabbie e recinti che porta, nel 1985, alla definitiva chiusura dello zoo giudicato un’esperienza fallita e fuori tempo massimo. Ne resta il parco naturalistico sulle sponde del Po, un’area protetta e sotto tutela con vari e importanti edifici in attesa di nuova destinazione d’uso. Tra questi l’ex rettilario di Ezio Venturelli, tra i più studiati e apprezzati architetti del Brutalismo torinese, allievo di Mollino. All’ingresso del parco, accanto al rettilario, in una nicchia di quella che era la casa delle giraffe, Artissima presenta il vide «Raised in the Dust» dell’artista georgiano Andro Erazde (Gallerie SpazioA). È un dialogo che funziona perfettamente con la storia del luogo e che indaga il rapporto tra uomo e animale e la modalità con cui ci rapportiamo alla cultura e selvatica. Il video è stato girato nella zona boschiva attorno alla città di Tbilisi, è uno scenario notturno nel quale appaiono immobili vari elementi, piante e animali selvatici come flash veloci che irrompono nel paesaggio. Finché a un certo punto il paesaggio si popola del chiasso visivo e sonoro di fuochi d’artificio che impattano sull’ambiente, la luce vira verso il verde e il rosso, suggerendo una dimensione apocalittica e «ribaltando l’aspetto sociale e di festa dei fuochi d’artificio in un trauma antropico che si abbatte su uno scenario boschivo determinandone una devastazione», spiega Fassi. A ben guardare gli animali sono immobili perché morti, tassidermizzati (proprio come quelli del Museo di Scienze Naturali). «La vita boschiva raccontata nel video è già adesso un ricordo del passato. Un’archeologia del presente che funzione per una qualsiasi città occidentale, anche per Torino, i suoi parchi e le sue colline», conclude Fassi.
Il dialogo di Artissima con il sistema culturale cittadino comprende anche importanti realtà private, per esempio la Pinacoteca Agnelli, a due passi dall’Oval, nel centro commerciale del Lingotto. Sul tesso della Pinacoteca, nel giardino pensile sospeso più alto d’Europa, la Pista 500, dove un tempo si collaudavano i prototipi delle automobili Fiat, ospita una serie di opere ambientali, una è il prodotto di un Premio realizzato ad Artissima. La vincitrice della scorsa edizione è l’artista iraniana residente in Francia Chalisée Naamani (Galleria Ciaccia/Levi). A pochi passi dall’Oval potete dunque ammirare il risultato della sua residenza torinese, il billiboard realizzato fondendo elementi della storia dell’arte rinascimentale e barocca con la storia industriale e commerciale del Lingotto. «Chalisée Naamani, spiega Sarah Cosulich, direttrice della Pinacoteca Agnelli, ha creato un’opera molto complessa in cui lei stessa si mette in posa in uno spazio domestico, il salotto di casa. Il lavoro parla però anche di un messaggio politico, il diritto al voto delle donne (elemento cui allude una catena di stoffa simbolo delle suffragette) e di maternità (si autoritrae in cinta). L’opera è una costruzione scenografica molto attenta, ogni elemento dell’immagine è mirato a dare un messaggio, ogni piccolo dettaglio tocca diversi aspetti della contemporaneità, con un linguaggio anche molto carico e pop e che si connette con lo spazio del Lingotto, del centro commerciale che lei ha esplorato. L’opera è anche il risultato di una sua conoscenza del contesto complesso dello spazio di questo edificio».
Tra i tanti edifici legati al passato industriale della città c’è anche l’albergo a cinque stelle Principi di Piemonte, costruito nel 1934 in stile razionalista nel centro della città, in via Roma, dall’architetto Bonadè Bottino, lo stesso che ha progettato la Fabbrica della Fiat Mirafiori. L’albergo, storicamente di proprietà della Fiat, ha ospitato illustri personaggi, dallo Scià di Persia a Frank Sinatra. E nel suo lussuosissimo Salone delle Feste, grazie alla collaborazione con Artissima, Arcangelo Sassolino (Galleria Continua) presenta l’installazione «Afasia 1». Il lavoro era stato progettato per il Palais De Tokyo a Parigi. Si tratta di una macchina costruita dall’artista che spara bottiglie di vetro a 1.000 km/h contro una lastra d’acciaio. «L’azione avviene a intervalli irregolari e trasforma la materia solida in polvere. È un’azione che l’occhio non riesce a vedere, ma che ricostruiamo dall’esito che produce. La sala dove l’opera è esposta è imponente, ricca di mosaici a foglia d’oro, decori e vetri veneziani. Ho pensato che l’estetica e l’azione di quella macchina potesse paradossalmente sintonizzarsi con il luogo», racconta l’artista. A pochi passi da via Roma, in piazza San Carlo nelle Gallerie d’Italia Torino da vedere nella sala immersiva la mostra «The Underground Cinema», curata da Irene Calederoni con una serie di video, di artisti tutti presenti in fiera, che esplorano gli immaginari onirici sospesi tra la veglia e il sonno. Le Gallerie d’Italia di Intesa Sanpaolo sono inoltre presenti all’Oval con un’anticipazione della prossima mostra torinese sulla grande fotografia dedicata a Olivo Barbieri. Alcuni suoi scatti esposti in anteprima dialogano con vedute, capricci e scorci urbani della collezione di dipinti della banca: Van Wittel, Panini, Boccioni. Tra i progetti di Artissima profondamente e sinergicamente radicati nel territorio cittadino va ancora ricordato MADEIN. Realizzato con la Camera di Commercio di Torino, mette in dialogo quattro imprese cittadine con quattro artisti rappresentati da quattro gallerie torinesi. All’Oval si possono ammirare le opere realizzate in residenza dai vincitori della scorsa edizione. Come ci racconta il giovane critico e curatore Matteo Mottin: «Lorena Bucur, con galleria madrina Franco Noero, ha lavorato con l’azienda tessile Kristina Ti, sviluppando un progetto sulla relazione tra tessuti e fotografia direttamente ispirato dal contesto aziendale. Jacopo Naccarato, con Simóndi Gallery, ha lavorato sulla trasparenza del policarbonato prodotto dall’azienda Dott. Gallina, specializzata nell’e-strusione di materiali termoplastici per il settore edile e per l’automotive. Christian Offman, affiancato da Luce Gallery, ha lavorato con Guido Gobino Cioccolato intrecciando la storia dell’azienda con l’immaginario del suo Paese d’origine, rileggendone la produzione in chiave autobiografica e afrofuturista. Giulia Poppi, con la galleria Mazzoleni, ha lavorato con Pininfarina Architecture per dare vita a un progetto basato su una pluralità di immagini che richiamano sensazioni tattili legate all’intimità e al mistero».
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