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Particolare del presepe del collezionista dell’Ottocento Michele Cuciniello, Napoli, Reale Certosa di San Martino

Foto: Arabella Cifani

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Particolare del presepe del collezionista dell’Ottocento Michele Cuciniello, Napoli, Reale Certosa di San Martino

Foto: Arabella Cifani

E a Napoli? Rimane il Presepe

L’eccellenza del capoluogo campano è l’apoteosi della distrazione

Stefano Causa

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Per sostenere, soprattutto a Napoli, il formidabile carico alimentare e religioso di ricorrenze e convivi non c’è passatempo migliore di inanellare paradossi: specie per i lettori di «Il Giornale dell’Arte» un gioco free style, senza esclusione di colpi. Occorre lavorare di memoria, dar fondo al deposito di dati che un tempo si chiamava cultura generale; oltreché smuovere il talento di connettere cose, persone, dipinti e luoghi apparentemente incomunicabili. Pittori, scrittori, registi, musicisti, critici melomani e storici. Nessuno è fuori lista. Servono curiosità e velocità, disponibilità a stupirsi e rivedere luoghi comuni e, se è il caso, rovesciarli (L’apice del Gotico francese? Il coro di San Lorenzo a Napoli. Il miglior architetto francese del secondo Novecento? Renzo Piano). In palio premi in denaro, piccole cifre come si conviene alle tasche esauste dopo la tredicesima, oltreché una diversa geografia del nostro Paese. Cominciamo?

La città dove si vive meglio in Italia? Bergamo. Quelle dove si vive peggio? Reggio Calabria e Napoli. Questo però non è un paradosso, ma l’ultimo resoconto appena sfornato di una fonte attendibile come «Il Sole 24 Ore». Bene. Andiamo avanti. I maggiori cantori dei vicoli, della carne e del sangue dei napoletani? Il bergamasco Caravaggio e il bolognese Pier Paolo Pasolini! Il capolavoro assoluto del Barocco napoletano? Non si trova a Napoli. Sono gli affreschi di Luca Giordano in Palazzo Medici a Firenze, la città meno barocca del mondo! I migliori dipinti napoletani del Settecento galante? Non si trovano a Napoli. Sono i Solimena e i De Mura che sfilano a Torino senza schiodarsi dal centro, tra la Chiesa di San Filippo Neri, i sovraporta di Palazzo Reale e la Galleria Sabauda (uno dei bei musei sconosciuti d’Europa)! La più bella veduta settecentesca del Vesuvio da Mergellina? Il Vernet del Louvre. Le prime e ultime pagine su Capri e su Procida? Le hanno firmate Goethe, Alphonse de Lamartine ed Elsa Morante. I titoli irrinunciabili sulla pittura napoletana di Sei e Settecento? Spettano a Roberto Longhi, scrittore d’arte di Alba. Le pagine più ficcanti sulla Napoli della seconda guerra? Appartengono a Norman Lewis (Napoli ’44) e a Curzio Malaparte. Il più sorprendente affondo sul presepe napoletano? Lo ha scritto un milanese, Giorgio Manganelli e lo ha pubblicato, oltre trent’anni fa, l’Adelphi milanese, nel 1992. Il film su Napoli e sul potere di repulsione e attrazione che la città antico moderna ha sui forestieri? «Viaggio in Italia» di Roberto Rossellini.

Particolare del presepe del collezionista dell’Ottocento Michele Cuciniello, Napoli, Reale Certosa di San Martino. Foto: Arabella Cifani

Morale della favola: il meglio su Napoli lo hanno tirato fuori militari inglesi, scrittori pratesi, registi romani, pittori francesi, poeti tedeschi, storici piemontesi, ingegni padani multiversi e lombardi e, di questo passo, il carosello dei paradossi è più divertente della Tombola del Mercante in fiera o della Nintendo Switch. Ma allora il capoluogo della Campania, regione disgraziata e sublime che staziona, orgogliosamente, al penultimo posto tra le città con la migliore qualità della vita, che cosa potrà vantare di verace da rivendicare e di cui andare fieri nel Natale ’24 che, come recita in «Natale in casa Cupiello» (1931), anche quest’anno si è presentato come comanda Iddio e con tutti i sentimenti? 

Ma il Presepe, what else! Quel teatrino di figure terzine panneggiate, col muschio, le rocce, gli animali, le gerle di frutta, l’osteria, lo scoglio, i pastori, i Magi, gli zampognari, i gozzuti caravaggeschi e lo stratagemma per far uscire l’acqua vera dalla cascata (al che Tommasino, nella versione televisiva del 1977, ripete al padre Luca che il presepe non gli piace, mirabile sintesi del dissidio generazionale padri figli, concludendo: «una cosa religiosa con l’enteroclisma dietro!»).

In realtà il Presepe napoletano piace a tutti. Anche agli abitanti delle valli lombarde che vivono centocinque volte meglio di noi. Ora è vero che, negli ultimi anni, soprattutto gli amici orobici stanno affollando le vie di Napoli e li vedi, più o meno disciplinatamente, impilati in direzione delle bancarelle di San Gregorio Armeno. Non saranno scesi per i Lorenzo Lotto del Museo di Capodimonte (non foss’altro che, a Bergamo, di Lotto ce ne sono abbastanza).

Particolare del presepe del collezionista dell’Ottocento Michele Cuciniello, Napoli, Reale Certosa di San Martino. Foto: Arabella Cifani

Vogliono godere dei presepi antichi o pseudo ricolmi di figurine stilizzate dal numero in costante aggiornamento di vip o semivip di turno, politici cantanti e calciatori, ammessi a partecipare alla Nascita di Gesù. Perché il presepe, come le tre guglie della città o il chiostro maiolicato di Santa Chiara, è un’eccellenza napoletana. Ma è uno strano animale. Dimenticate le scene presepiali della Cappella degli Scrovegni, dove nulla deve molcere o accarezzare lo sguardo. Agli albori del Trecento Giotto a Padova è un potente attivatore di concentrazione. Quattro secoli dopo il presepe borbonico è la distrazione regina, l’antonomasia della distrazione. Dove i presepi di marcatura umanistica sono tesi allo spasimo, quelli nostri non concedono tregua allo sguardo e salgono tutti i gradi della digressione, dell’irrilevanza e dell’indugio. Lo spettatore deve stare a regole nuove: sa che dovrà perdersi e ritrovarsi, infilarsi in ogni buco, prima di guadagnare, alla fine della fiera, il core della Nascita di Gesù.

Un melomane come il presidente del Parlamento di Digione, Charles de Brosses, in una Napoli tornata borbonica dopo il trentennio austriaco, si era innamorato di un compositore come Pergolesi (napoletano vivaddio!). Un «genio affascinante, semplice, naturale», dotato di «facilità, grazia e buon gusto» (ecco i sei aggettivi da spendere nel Settecento). Il vero corrispettivo di Francesco De Mura. Ma poi, finita la musica, affila le armi: «L’arte della pittura è andata perduta oggi in Italia; solo nella prospettiva e nella scenografia rimangono artisti capaci». Così scrive testualmente nelle Lettere familiari (ristampato da Laterza nel ’73 con prefazione di Carlo Levi). In realtà, è nelle stroncature che si nascondono gli angoli brillanti della critica. Nessuno si sogna di negare che Francesco Solimena o de Mura siano maestri di primo cartello; ma, implicitamente, si suggerisce che, più che pittori, siano scenografi. De Brosses aveva capito, prima di tutti, che la pittura decorativa funziona come suggerimento del Teatro. Ma è probabile che stesse pensando al Presepe che Raffaello Causa, di cui nel 2024 sono ricorsi i quarant’anni dalla morte, definirà cortese, mondano, per distinguerlo dai presepi antichi.    

Come le nature morte napoletane al massimo volume di presentazione, il presepe nasce per accumulazione e cresce per modificazione; si espande ripudiando ogni contrazione. Alla prova della nascita di Gesù, Giotto, Masaccio e quel loro emulo seicentesco che si chiama Caravaggio avevano provato a modulare solo le note giuste. Le uniche che meritassero devoti e intenditori. Pochi personaggi, silenzio, rigore, massima tensione e luci basse. Tutto da imparare a memoria. Ai presepisti del Settecento, grandi scultori in piccolo e veri artigiani della qualità del genio napoletano, competono le note ornamentali, gli abbellimenti, le cadenze, le infiorettature, gli angeli che piovono a grappolo come eroi della Marvel, visti e presi dai murali di Solimena e De Mura; insomma un affare di decorazione, di empimento e non di sostanza. Il Presepe Cuciniello del Museo di San Martino, il re dei Presepi, come lo impari a memoria? Impossibile! È scenografico e chiassoso, trionfale e smargiasso; un presepe che non sai come e da che parte prendere, come il pesce che la Confalone prova invano a riagguantare in «Il Mistero di Bellavista» (1985). Ma Natale è anche questo, un capitone che scappa da tutte le parti. Auguri a tutti!

Un’immagine del presepe del collezionista dell’Ottocento Michele Cuciniello, Napoli, Reale Certosa di San Martino. Foto: Arabella Cifani

Stefano Causa, 25 dicembre 2024 | © Riproduzione riservata

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