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Falsi Modigliani: sarà lunga... Così, sul numero scorso (p. 16), «Il Giornale dell’Arte» titolava l’articolo in cui Anna Orlando riassumeva la vicenda giudiziaria delle 21 opere (15 di Modigliani, sei di Moïse Kisling), esposte lo scorso anno a Palazzo Ducale nella mostra «Modigliani», curata dallo studioso svizzero Rudy Chiappini e prodotta da MondoMostre Skira, società italiana presieduta da Massimo Vitta Zelman (nel procedimento giudiziario in corso, Palazzo Ducale risulta parte lesa, mentre Chiappini e Vitta Zelman sono entrambi indagati). Le opere in questione furono poste sotto sequestro dalla Magistratura un paio di giorni prima della chiusura della mostra (prevista per il 16 luglio 2017), scatenando, ovviamente, un uragano mediatico che, secondo alcuni, potrebbe risultare addirittura scoraggiante per i prestatori a mostre italiane.
La matassa è quanto mai ingarbugliata, anche a causa delle diverse nazionalità delle parti coinvolte: al curatore, svizzero, e al presidente di MondoMostre Skira, italiano, si aggiunge, infatti, il collezionista e mercante americano Joseph Guttmann, prestatore di sei delle opere contestate. Ma contestate da chi? In primo luogo dal collezionista toscano Carlo Pepi da Crespina, Pisa, fondatore dell’Istituzione Casa Natale Modigliani (da cui si è poi dimesso per dissidi con altri membri), che in una nota diffusa da lui stesso (www.modigliani1909.com/carlo_pepi.html), parlando di sé in terza persona, si definisce «il massimo esperto di Modigliani», lamentando di «essere sempre l’unico a pronunciarsi e a non sbagliare», sebbene le istituzioni non riconoscano la sua autorevolezza. Perché, glossa, «una persona come Carlo Pepi, che per sua scelta non ha mai voluto guadagnare dall’arte e che ha dedicato gran parte della sua vita a scovare falsi e falsari, è normale che venga ritenuto scomodo e d’intralcio» (per inciso, nella stessa sede Pepi si dichiara esperto anche di Leonardo, tanto da aver contestato il restauro dell’«Ultima Cena», e di Michelangelo, sul cui «Crocifisso» ligneo acquistato dallo Stato italiano per 3,25 milioni, molto discusso, espresse forti dubbi, nonché di Jusepe de Ribera, oltre che dei Macchiaioli e del prediletto Modigliani).
Il suo «occhio di conoscitore» si sarebbe manifestato già in occasione della famosa burla delle tre «Teste» scultoree ritrovate nel 1984 nel Fosso Reale di Livorno e frettolosamente attribuite a Modigliani da alcuni autorevoli personaggi poi clamorosamente smentiti dalla confessione dei ragazzi autori della burla. Nel caso della mostra genovese, non va dimenticato che le opere da lui ritenute false (alcune delle quali effettivamente assai modeste all’aspetto) sono tuttavia corredate da ricche bibliografie e da numerose esposizioni pubbliche, sinora mai contestate.
Anche la consulente del Tribunale di Roma per le opere d’arte Isabella Quattrocchi, nella perizia commissionatale dalla Procura, ha definito le opere in questione come «grossolanamente falsificate». Ma, oltre a rilievi talora condivisibili sulla stesura del colore e su effettive disarmonie grafiche, la Quattrocchi si sofferma anche su dettagli talora tautologici (il telaio non sarebbe di fattura italiana: logico, perché Modigliani viveva e lavorava a Parigi...) o del tutto ininfluenti, come la fattura grossolana delle cornici che, com’è noto, sono scelte dai collezionisti e non certo dall’autore (se non da certi futuristi, come Balla o Severini). Anche la presenza sul verso dei dipinti di una tamponatura con un materiale definito nella perizia «carton blum» o «carton plum» (in realtà, «carton plume» o Poliplat), che a suo dire sarebbe stato collocato ad arte al fine di mascherare «le operazioni di falsificazione a un non attento esame», è invece piuttosto diffusa, allo scopo di difendere i dipinti da umidità e polvere, e le pareti dalla sporcizia eventualmente depositata su telaio e cornice. Notazioni, queste, che stupisce leggere nella perizia di un consulente di Tribunale.
Non solo, ma una delle opere bollate come «grossolanamente false», «Testa di donna (Ritratto di Hanka Zborowska?)», 1917, è stata considerata di rilevante interesse culturale e perciò notificata dallo Stato nel 1972, con la firma di Giovanna Nepi Scirè, in seguito soprintendente per i Beni artistici e storici di Venezia, poi soprintendente speciale per il Polo Museale Veneziano. Senza dimenticare che quest’opera è nel circuito delle mostre almeno dal 1932, e mai sino ad ora era stata contestata. Tutte le opere in questione, del resto, sono dotate di una più o meno ricca bibliografia e di una più o meno fitta storia espositiva.
Non va però dimenticato che nel 2020 cadrà il centenario della morte di Modigliani e che le celebrazioni saranno sicuramente imponenti. E poiché a contendersi il ruolo di massimo esperto vivente di Modigliani (e quindi la remunerativa curatela di mostre ed eventi vari) sono Christian Parisot, responsabile dal 1983 del Modigliani Institut Archives Legales di Parigi, e il suo ex collaboratore e ora acerrimo contendente Marc Restellini, intorno a quel piatto succulento si sono accese violente dispute.
Entrambi sono incorsi in disavventure giudiziarie: il primo nel 2013 è stato rinviato a giudizio in Italia con l’accusa di ricettazione, vendita e autenticazione di opere d’arte false (non si ha notizia degli esiti del processo), mentre il secondo, che già nel 2001 annunciava la pubblicazione di un catalogo ragionato di Modigliani (sinora non uscito), è tuttora coinvolto nelle conseguenze del fallimento della Pinacothèque de Paris, museo privato (ma anche galleria) da lui fondato nel 2007 e chiuso nei primi mesi del 2016 (il suo omologo di Singapore è incappato in un’improvvisa chiusura nell’aprile del 2016). I due hanno intrecciato da tempo duelli all’ultimo sangue, e forse non è insensato pensare che anche il caso di Genova faccia parte di una strategia bellica tra i due contendenti.
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La «Testa di donna (Ritratto di Hanna Zborowska?)», 1917, notificata nel 1972, giudicata falsa da Isabella Quattrocchi, consulente del Tribunale di Roma
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