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Luca Zuccala
Leggi i suoi articoli«Far brillare la polvere» è il mantra che ha scandito le mille pagine assemblate da febbraio a ora, settembre, de «Il Giornale dell’Arte», nuovo quanto preziosamente ultraquarantennale. Il formato è stato gelosamente conservato, intatto: un ingombro fuori norma dalla stropicciata eleganza, mentre si sono moltiplicate pagine, settori e diffusione, per marcarne sostanza e presenza. Sul campo, in rete, ovunque, per essere ancora più capillari e tangibili. La rinnovata scarica linfatica ha voluto preservarne il cuore e l’identità, lustrando e scintillando, nel nume tutelare eterno della qualità, quel raffinato anacronismo che contraddistingue «Il Giornale dell’Arte», seducente e mai obsoleto.
Così, ora, sulla scia, aurea, del silenzio d’apertura citato nella mia nota dello scorso febbraio, e sul solco di scrivere solo quando è richiesto, tiriamo le fila della prima parte dell’anno guardando dritti, numeri «nero su bianco» e zero chiacchiere, al sipario finale della stagione. Che si apre, cover 464 alla mano, con quella che sarà una costante annuale: la «Power 100», la lista, stilata dai principali esperti e osservatori del settore, delle 100 figure italiane più influenti dell’arte contemporanea. Ogni settembre, su carta. Per sempre, in formato digitale. Amalgamando in armonia e sinergia i canali di fuoco e di azione del Giornale. Tutti i mesi, in edicola, diffuso in 20mila copie con 160 pagine di media pubblicate ex novo; online, con 600 articoli, 50 newsletter e un milione e mezzo di visualizzazioni mensili, certificate, senza neanche dover tenere il conto dei fratelli anglosassoni e transalpini; sul territorio, fissi, su ogni palcoscenico internazionale. Da Torino a New York, da Milano a Maastricht, da Venezia a Parigi, passando per Londra, Los Angeles, Roma, Hong Kong, Basilea e Napoli. Siano Artissima, Art Basel, Biennale, Frieze, Quadriennale, Salone del Libro, Paris Photo, Tefaf, Biaf e Miart. Costruendo, per ogni evento, una finestra speciale e focus dedicati. E nel frattempo, ogni mese, dorsi e inserti scandiscono le ibride necessità del presente. Per leggerle, analizzarle, interpretarle. Dalla Fotografia alla Formazione, dal Mercato dell’arte al Turismo culturale, consapevoli del cielo che contrassegna l’orizzonte odierno. L’osmotica contaminazione tra sfera delle arti, del design, della moda, del lusso e dell’impresa che oltrepassa i confini e i linguaggi, spuri, del paradigma della contemporaneità, come insegna Nathalie Heinich. E muta, dilatando, le geografie del sistema. Si è appena conclusa la Biennale di Arte Islamica a Gedda (e quella di arte contemporanea a Sharjah); il Bahrein ha vinto il Leone d’Oro alla Biennale dell’Architettura; il 5 settembre sarà la prima volta per la Biennale di Bukhara, in Uzbekistan, mentre il 6 farà capolino la storica Biennale a San Paolo; Christie’s, a ottobre, celebra il primo anniversario nella nuova sede di Hong Kong, The Henderson; Sotheby’s risponde inaugurando a novembre il suo nuovo headquarter a New York, The Breuer; a dicembre sarà il turno dello Zayed National Museum ad Abu Dhabi, che sorgerà in uno dei centri culturali più grandi al mondo, il Saadiyat Cultural District. Tutto questo mentre fervono i preparativi per il lancio di Art Basel a Doha, in Qatar, sotto l’egida della mecenate sceicca Al Mayassa. Quello che, se mai, di contro, si può ben dire è la totale saturazione del calendario, in un sistema che, per quanto resiliente sia, fatica a tenere il passo e, quando non ci sono le corrette «garanzie», sembra quasi implodere. Ne sono prova le recentissime serrate di gallerie come Clearing, Kasmin, Blum, Venus Over Manhattan.
E in Italia? Per quanto l’instabilità e le condizioni socio-economiche internazionali non siano favorevoli, il Paese procede nella giusta direzione. Di fresca nomina estiva sono i nuovi direttori dei musei statali autonomi. Buona novella che cede il passo al valzer degli appuntamenti autunnali. Si parte il 10 settembre a Pozzuoli con Italics, il consorzio che raccoglie le maggiori gallerie italiane, per poi, una settimana via l’altra, fare il giro della Penisola tra grandi mostre (Beato Angelico, Jeff Wall, Nan Goldin, Isaac Julien, Fata Morgana, Chiharu Shiota, Man Ray, Alice Neel, Leonora Carrington) e «classici» fieristici del quadrimestre: Arte e Collezionismo, Mercante in Fiera, Art Verona, Artissima e Amart. Due, in particolare, gli eventi da segnare in rosso sul calendario: la Quadriennale a Roma a inizio ottobre, nel ricordo di Luca Beatrice; e il ritorno in Italia, dopo cinquant’anni, della 57ma Conferenza Annuale di Cimam, il Comitato che riunisce i musei d’arte moderna e contemporanea del mondo, inseguita da Patrizia Sandretto Re Rebaudengo e resa possibile dalla Fondazione per l’Arte Crt. A fine novembre, a Torino. Con tutti i suoi limiti, il sistema Italia c’è e attrae capitali dall’estero. Lo dimostrano la prossima apertura a Milano della sede della galleria multinazionale Thaddaeus Ropac e, in primis, l’abbassamento dell’Iva sulle opere d’arte al 5%, sul quale continuiamo ampiamente a dare voce. Non fa più notizia, ma il provvedimento è storico e va «accompagnato» da una serie di altre riforme, come quella sulla circolazione delle opere. Il prima possibile.
Per quanto riguarda l’assoluto presente, tanto il mercato dell’arte internazionale continua la sua contrazione, quanto non si può non sottolineare la lucida e caparbia strategia delle case d’asta nostrane, immuni alle «ingerenze» esterne. Il lusso, ancora una volta (basti vedere i top lot che costellano le classifiche dei fatturati semestrali) compensa le belle arti trasversali. In Italia, come all’estero. Dove Christie’s, su un primo semestre da 2,1 miliardi di dollari, ha venduto quasi il 30% in più di borse, orologi, automobili e gioielli rispetto allo scorso anno, pareggiando così i conti del 2024. Il mondo cambia e contamina le sue visioni e aspirazioni, grazie anche all’avvento prepotente di Millennial e Gen Z. Se Christie’s domina la classifica delle opere d’arte più costose all’asta (Mondrian e Canaletto), Sotheby’s è leader fuori dalla tela. Si veda alle voci: Ferrari F40 (11 milioni di dollari); Ceratosaurus nasicornis, uno scheletro intero di ceratosauro (30,5 milioni); Grand Rhinocretaire II, la scultura-scrivania Rinoceronte di Lalanne (16,4 milioni); Martian Meteorite-Nwa 16788, il più grande frammento di Marte sulla Terra (5,3 milioni). La pietra filosofale del semestre, però, non è un minerale, ma un’inestimabile alchimia condensata in un solo elemento. Una borsa: una Birkin, venduta a luglio da Sotheby’s, a Parigi, per 8,6 milioni di euro. Si tratta del prototipo progettato per Jane Birkin nel 1984 da Jean-Louis Dumas, direttore creativo di Hermès. Un’icona ricamata su misura dopo un’epifania su un volo Air France Londra-Parigi del 1981, quando l’attrice, seduta accanto a Dumas, rovesciò la sua cesta in vimini. Da quell’incontro e dall’esigenza di una borsa «grande, ma elegante» nacque l’idea. Tre anni dopo, Hermès le consegnò il modello che portò sempre con sé per un decennio.
L’antitesi della serialità, la rappresentazione plastica dell’unicità. Grande, elegante, iconico. Un pezzo unico. Come «Il Giornale dell’Arte».
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