Teresa Scarale
Leggi i suoi articoliL’immagine è di chi la scatta? Di chi la guarda? Di chi la compra? Nel suo utilizzo, vince il diritto di cronaca o il diritto di sfruttamento economico a essa connesso? Tutte le fotografie scattate da professionisti sono considerate allo stesso modo dal punto di vista giuridico-patrimoniale? Una delle questioni oggi maggiormente discusse in Italia nel mondo dell’editoria e dell’informazione è quella della tutela del diritto d’autore nell’utilizzo delle immagini fotografiche, anche alla luce delle ultime indicazioni Siae, a dir poco fuori mercato. Sul tema, abbiamo intervistato l’avvocato Emiliano Rossi (Pavesio e Associati with Negri-Clementi).
Che cosa dice la normativa italiana sul diritto d’autore sulle fotografie?
Le fotografie sono tutelate dalla legge sulla protezione del diritto d’autore (22 aprile 1941 n. 633, Lda), che le suddivide in tre categorie. Innanzitutto, vi è la fotografia cosiddetta creativa, tutelata dal diritto d’autore tramite il riconoscimento dei diritti di sfruttamento economico dell’opera (per esempio diritto di riproduzione, distribuzione, elaborazione ecc.) e del diritto morale, che include il diritto di attribuzione e il diritto all’integrità dell’opera. In seconda battuta, vi sono le fotografie cosiddette semplici, protette da un diritto connesso al diritto d’autore, più breve nella durata e più ristretto nel contenuto: esso comprende i soli diritti di riproduzione, diffusione e distribuzione, senza riconoscere alcun diritto morale al fotografo. Infine, la Lda individua le mere rappresentazioni di scritti, documenti, oggetti e simili, non coperte da alcuna protezione.
Quali sono i principali punti di attenzione per il loro utilizzo sui giornali e nelle rassegne stampa, nelle mostre?
Di regola, la riproduzione della fotografia è un diritto esclusivo dell’autore, che può cederlo a terzi alle condizioni che preferisce (ad esempio per un tempo limitato, dietro pagamento di un compenso ecc.). La Lda, tuttavia, prevede un’eccezione all’esclusiva del diritto d’autore sulle fotografie creative per la loro pubblicazione sui giornali al fine di garantire il diritto di cronaca in occasione di avvenimenti di attualità, purché la pubblicazione avvenga nei limiti dello scopo informativo e si indichi (salvo impossibilità) la fonte dell’immagine. Sempre la Lda permette la riproduzione delle fotografie semplici su giornali o periodici in relazione a persone o fatti aventi pubblico interesse, ma dietro pagamento di equo compenso (si pensi alle foto cosiddette di stock, Ndr). La Siae fornisce un «Compendio delle norme e dei compensi per le riproduzioni delle opere delle arti figurative» (2023). In merito alle libere utilizzazioni al fine di cronaca, il compendio non offre spiegazioni ulteriori rispetto alla legge, ma riporta alcuni esempi grafici, che mostrano tutti una sola fotografia per articolo (sebbene nella Lda non vi sia riferimento al numero di immagini riproducibili). La questione è stata oggetto di dibattito durante la recente mostra su Giorgio Morandi a Palazzo Reale di Milano, per la quale la Siae ha permesso l’utilizzo gratuito di una sola foto per articolo, richiedendo invece il pagamento delle royalty in caso di pubblicazione di un numero maggiore di immagini. Diverso ancora è il caso della riproduzione parziale di opera, anche fotografica, a fini di critica, discussione, insegnamento o ricerca scientifica, che è libera, purché sia escluso il fine commerciale.
Per quanti anni i diritti restano in capo agli eredi del fotografo e/o dell’autore?
Il diritto d’autore dura tutta la vita dell’autore e sino al termine del 70mo anno dopo la sua morte. Il diritto connesso a tutela delle fotografie semplici dura 20 anni dalla creazione dell’opera.
Nel caso in cui non si conoscano tutti gli eredi, e non ci sia modo di conoscerli e/o contattarli, esiste una qualche forma di tutela per sé? Magari una liberatoria?
L’art. 115 Lda prevede che, dopo la morte dell’autore, «il diritto di utilizzazione dell’opera, quando l’autore stesso non abbia altrimenti disposto, deve rimanere indiviso fra gli eredi per un periodo di tre anni dalla morte medesima», salvo che uno degli eredi non dimostri che sussistano «gravi ragioni» in base alle quali è necessario che un giudice si pronunci sull’attribuzione dei diritti. Decorso detto periodo, gli eredi possono stabilire che il diritto rimanga in comunione, o disporre diversamente. Durante tutto il periodo di comunione, l’amministrazione e rappresentanza degli interessi sull’opera deve essere conferita a uno dei coeredi, o anche a un terzo. In caso contrario, l’amministrazione è conferita per legge alla Siae. Non esistono previsioni che facilitino l’utilizzazione di opere fotografiche qualora non si conoscano i soggetti cui sono stati attribuiti i diritti di utilizzazione economica sull’opera (come accade, invece, nel caso delle opere anonime). L’unico modo per esercitare un diritto di sfruttamento economico su un’opera una volta che sia deceduto l’autore è con l’autorizzazione da parte degli eredi o, eventualmente, dell’archivio, fondazione o altri soggetti a cui sia stata attribuita l’amministrazione dei diritti.
Nel caso di mostre, che diritti ha il collezionista sulle fotografie di sua proprietà? Cosa deve fare per essere in regola?
Negli anni è stato dibattuto se il diritto di esposizione dell’opera rientri tra quelli di sfruttamento economico, di titolarità esclusiva dell’autore, o se esso sia una prerogativa del proprietario dell’opera. La soluzione prevalente in giurisprudenza è quest’ultima, anche considerato che il diritto di esposizione non è espressamente incluso tra i diritti di utilizzazione elencati nella Lda. La giurisprudenza ritiene che l’autore rinunci al diritto di esposizione con la pubblicazione e/o vendita dell’opera, posto che queste comporterebbero la rinuncia «al riserbo dell’inedito» (Tribunale di Verona, sentenza 13 ottobre 1989). L’esposizione, in ogni caso, non legittima l’esercizio da parte del proprietario dell’opera degli altri diritti di sfruttamento. Per essi, si applica la regola secondo cui la cessione di uno o più esemplari dell’opera non comporta, salvo patto contrario, la trasmissione dei diritti di utilizzazione.
Se il collezionista volesse redigere un catalogo della propria collezione, potrebbe farlo o dovrebbe contattare tutti gli eredi degli artisti?
Vale la stessa regola sopra enunciata: la riproduzione all’interno di un catalogo di un’opera fotografica costituisce un diritto di sfruttamento economico dell’opera stessa e, pertanto, richiede l’autorizzazione dell’autore o dei soggetti aventi tale diritto.
Quali sono le principali problematiche giuridiche che introduce l’uso dell’Intelligenza Artificiale nelle immagini fotografiche?
Le opere realizzate da Intelligenza Artificiale (IA) generativa pongono molti interrogativi, fra i quali, in ambito autoriale, a chi debba essere attribuita la paternità dell’opera stessa. Da un lato, vi sono gli autori del materiale con cui l’IA viene «nutrita» e «addestrata», detentori del diritto esclusivo di riproduzione ed elaborazione di tale materiale quando si tratti di opere protette dal diritto d’autore. Se l’IA genera un prodotto finale che appare essere una riproduzione o, al più, una elaborazione di un’opera già esistente e tutelata dal diritto d’autore, l’autore di quest’ultima potrà rivendicare dei diritti sulla creazione dell’IA. Il discorso si complica quando il prodotto finale generato dall’IA sia, per così dire, un originale e quindi non riproduca o non elabori creazioni già esistenti. In questo caso, il dibattito giuridico su a chi debba essere attribuita l’opera è del tutto aperto.
Ma secondo lei, la produzione «fotografica» dell’IA è o non è assimilabile alla fotografia?
Non è fotografia nel senso che non risponde alla definizione di fotografia ossia la rappresentazione di un’immagine generata con una macchina fotografica. Ciò però non esclude che non possa essere inquadrata nelle varie forme di opere figurative. Il problema è se da un punto di vista giuridico queste forme espressive possano essere qualificate come creative ed essere tutelate dal diritto d’autore.
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