Luca Zuccala
Leggi i suoi articoliTutelare il diritto d’autore è sacrosanto, compromettere il diritto di informare è diabolico. Due proposizioni apparentemente sconnesse venutesi a saldare in un perverso rapporto causa effetto. Un paradosso divenuto realtà quando la scure a doppia lama (attiva e passivo aggressiva) della Siae (Società Italiana degli Autori ed Editori) ha reso la vita di giornali, editori, uffici stampa e produttori di mostre una roulette russa. Situazione sintetizzabile nel trittico: scrivere in perenne allerta, pubblicare in costante allarme, lavorare in uno stato di «terrorismo psicologico», secondo le testimonianze raccolte in queste settimane tra gli addetti ai lavori. Nessun procurato allarme: l’ecosistema artistico, da un anno e mezzo a questa parte, brancola in un mix di schizofrenia e paranoia a causa della stretta senza precedenti dell’ente monopolistico sulla riproduzione delle immagini tutelate da diritto d’autore. Missione tanto necessaria e corretta quanto, oltrepassata ogni logica e giurisdizione, patologica e morbosa, dal momento che sempre più spesso vengono travalicati i propri compiti e confini fino alla negazione stessa della cronaca senza scopo di lucro. Dopo il biennio Covid-19 la Siae sembra essersi accorta della galassia giornalistica d’arte, cresciuta esponenzialmente anche a livello digitale, e ha aperto il fuoco censorio (con raffiche di multe) sull’utilizzo, a suo dire, illegale delle immagini tutelate anche in campo di mera informazione. Un danno per gli editori, ma soprattutto un danno per i lettori, il sapere e la cultura.
Che cosa è cambiato dal 2022 ad oggi
Se, salvo casi eccezionali, fino al 2022 si era stabilita un’armonica convenzione che garantiva che due immagini di opere, accompagnate a due vedute di allestimento, fossero libere dai diritti, quindi utilizzabili ai fini di cronaca, critica e discussione, sul calare dello stesso anno ecco il cambio di rotta. I motivi, come tutta la vicenda, non brillano per chiarezza. Il tacito compromesso che veniva incontro a tutte le parti si è spezzato. Tre, presumibilmente, i fattori concomitanti: l’attenzione e l’espansione vertiginosa dell’universo digital e social, conseguenza dell’onda lunga della pandemia; il doppio cambio al vertice annunciato nel 2022 (Salvatore Nastasi, presidente da settembre 2022, e Matteo Fedeli, direttore, operativo dal primo gennaio 2023); il bisogno di fare cassa. Sì, ma a danno di chi? Sì, ma a favore di chi? Le riviste d’arte e le pagine culturali dei giornali, nazionali o locali che siano. Ora, siamo nel campo pseudo esistenziale della dicotomia teoria-pratica. A livello teorico, lo ribadiamo, è del tutto legittimo che l’ente monopolistico si impegni nel tutelare i diritti degli artisti (o degli eredi) che si sono affidati a loro, chiedendo un giusto compenso per l’utilizzo delle loro opere d’ingegno. Allo stesso tempo, nella pratica, è assurdo pretendere che realtà come le riviste (spesso medio-piccole se non a gestione «familiare», con disponibilità economiche limitate, chiamate a muoversi in un contesto economico avverso e in una cerniera storica tutt’altro che ideale) siano in grado di rispettare i tariffari che la Siae è giunta a esigere per la sola colpa di ottemperare al proprio mestiere. Se infatti (in teoria) le riproduzioni fotografiche delle opere sono sempre state protette da copyright, si è sempre riusciti (nella pratica) a trovare dei punti di incontro, soprattutto grazie agli uffici stampa, attivi nel sollecitare la ripoduzione di immagini per divulgare la mostra dell’artista in questione. Il meccanismo aveva il suo senso: se si tratta di raccontare un’iniziativa coerente e certificata dall’artista, come appunto una mostra a lui dedicata, la diffusione delle opere è incoraggiata da un compromesso che condivide gli interessi di entrambe le parti. Qualora invece la testata decida di realizzare un articolo slegato dalla contingenza critica e cronachistica, ecco che allora è a suo carico la premura di ottenere il corredo fotografico. D’altronde, che senso ha parlare di un’opera d’arte senza avere il minimo riferimento visivo su di essa? Libero spazio all’immaginazione? Una volta può essere Dada, poi annoia, infine non ha senso.
Quanto costa per il web, quanto per il cartaceo
L’unica possibilità rimane dunque versare il corrispettivo, che ammonta, per il segmento online, a 30 euro per 1 opera, 40 euro da 2 a 3 opere e così via, fino a 4.133 euro necessari se si vuole riempire il proprio sito con 20-30mila immagini. Per la carta stampata, le cifre variano a seconda della tiratura e del formato da utilizzare, da 31 euro a 348,80 euro. Tassa, per il digitale, che ha la validità di un mese e vede una maggiorazione del 100% qualora l’immagine passi in homepage e un’altra del 12% per ogni social network su cui viene condivisa. Anche senza prendere la calcolatrice è evidente che la somma è fuori mercato, impossibile da corrispondere per chi opera nell’industria dell’informazione culturale. C’è poi un altro fattore: teoricamente, il via libera per l’utilizzo delle immagini prevede un iter di 15-30 giorni, prima del quale si incappa nella sanzione. Presupposti che si scontrano con l’esercizio pratico della professione, di certo non in linea con tempi e restrizioni così impegnativi. Soluzioni possibili? Pubblicare articoli senza immagini, proponendo un contenuto incompleto che va a sfavorire l’operato del giornale e deprimere la fruizione del lettore. Ma che danneggia l’artista stesso, il quale ha interesse che della sua opera e della sua mostra si parli, si discuta, che la si condivida e diffonda. Quindi si pone pure l’aspetto ontologico dell’arte stessa: con quale intenzione un artista crea? Per chi? Esiste una bilancia tra volontà di guadagno e scopo «educativo spirituale» che l’arte porta con sé? Senza scivolare in moralismi e appellarsi a grandi sistemi per risolvere un problema che è prima di tutto pratico, è evidente che la questione necessita di essere analizzata a fondo dall’intera collettività. Per l’informazione ha sempre prevalso l’interesse collettivo, dato il ruolo fondamentale della stampa nel dibattito culturale. Per questo motivo la questione non può essere ridotta a mera bega di condominio artistico. La situazione è seria e urgente perché riguarda tutti. A partire dai protagonisti della disfida, gli attori della filiera, che, sul caso in questione, più della metà, interpellati da «Il Giornale dell’Arte», hanno voluto restare anonimi per il timore di ripercussioni sulle proprie testate o realtà del settore.
La parola all’avvocato
Carta canta. Veniamo alla legislazione, l’unico elemento che nero su bianco può dare ulteriori punti luce alla faccenda, oramai divenuta «affaire». Come spiega l’avvocato Emiliano Rossi: «La legge n. 633/1941 (Legge sulla protezione del diritto d’autore o Lda) prevede alcuni casi di libera utilizzazione di opere tutelate dal diritto d’autore, quando le stesse vengano riprodotte a fini di cronaca, critica, discussione, uso didattico o scientifico». Il problema? Il primo, come si evince dalle parole di Rossi, che «la formulazione delle citate disposizioni normative lascia ampio margine all’interpretazione, per cui si possono generare dubbi applicativi». Il secondo, tra i molti, è contenuto nella dicitura riportata da qualche mese dalla Siae a corredo esplicativo del bagaglio fotografico utilizzabile a mezzo stampa. Prendiamo quello per la mostra di Morandi a Palazzo Reale di Milano, balzata alle cronache proprio per questo motivo a fine 2023. Copiamo e incolliamo: «La normativa Siae odierna concede l’utilizzo di una sola immagine di artista tutelato Siae tra quelle elencate qui sotto, per un solo articolo che possa essere considerato articolo di “cronaca”, articolo di segnalazione o trafiletto (ovvero che annunci la mostra con le indicazioni fondamentali: ad es. luogo, date, opere esposte, costo biglietto…). Qualora si trattasse invece di una recensione nella quale si volessero riprodurre più immagini di opere di Giorgio Morandi, l’utilizzatore dovrà comunque richiedere l’autorizzazione a Siae e pagare i diritti di riproduzione per ogni opera». Risultato: trafiletto sì, trafilone no, segnalazione dove, cronaca quanto, critica come, recensione perché. Altro punto da dirimere sempre attingendo dai disclaimer Siae. Rigorosamente copiando e incollando: «Ogni immagine deve essere seguita da didascalia e non deve essere tagliata e/o manomessa. Le immagini possono essere utilizzate sul web solo in bassa definizione». Bassa quanto? 100 dpi? 1000 pixel? Aleatorietà. Anche qui, libero gioco all’interpretazione. Quindi confusione, e paura di sbagliare, con conseguente multa.
Gli uffici stampa al centro della contesa
Se il principio, limpido, che la salvaguardia del diritto d’autore non deve ledere il rispetto del diritto di informare, l’opacità diffusa sulla questione ha avuto come risultato il caos più totale, fattore che compromette un sistema già precario. La cui aria, pesante, si specchia nelle parole di Paola C. Manfredi, fondatrice di Pcm Studio, tra i maggiori uffici stampa italiani nel campo dell’arte: «È difficile lavorare così, i giornali sono terrorizzati o molto diffidenti. Il rischio è che l’arte, argomento già molto fragile nel complesso dell’informazione al grande pubblico, trovi sempre meno spazio e disponibilità da parte dei media alla sua trattazione. Il punto è che l’informazione su progetti culturali è servizio alla comunità, non un frutto commerciale che si aggiunge a un paniere di possibili acquisti». Gli uffici stampa («funzionali non alla comunicazione pubblicitaria ma al diritto d’informazione») si trovano al centro della contesa: «In questo momento siamo in mezzo a un guado senza strumenti utili alla soluzione del problema, conclude Manfredi, e spesso ci troviamo a dover spiegare al giornalista qualcosa che fatica a comprendere, proprio perché tocca il diritto-dovere di informazione. Il tutto acuito dal fatto che oggi le immagini sono davvero parte essenziale della trattazione giornalistica». Ergo: se non si riuscirà a risolvere la questione e trovare una quadra (chiarezza, trasparenza, uniformità di giudizio), il rischio è uno e trino: soffocare la comunicazione di qualsiasi fatto artistico, ammazzare il diritto di cronaca e di critica, uccidere l’informazione culturale. Mica male. Ma quali sono le finalità della Siae? È un’azienda a fini di lucro? E su quale diritto giuridico fonda la sua pretesa e la sua capacità di sanzionare?
Nove domande alla Siae senza risposta
• Per il diritto di cronaca e informazione quante immagini sono disponibili a uso gratuito per i giornali (cartaceo e digitale)?
• Per il diritto di critica e discussione (Dispositivo dell’articolo 70) quante immagini sono disponibili a uso gratuito?
• Nel caso le immagini siano una o due a uso gratuito, non risulta limitante ai fini di un articolo informativo o critico (senza scopo di lucro, che fa gli interessi dell’artista o del museo stesso)?
• È consentita la libera pubblicazione attraverso la rete internet, a titolo gratuito, di immagini e musiche a bassa risoluzione o degradate, per uso didattico o scientifico e solo nel caso in cui tale utilizzo non sia a scopo di lucro (art. 70, comma 1-bis). Che cosa significano tecnicamente i termini «a bassa risoluzione o degradate»?
• Quanto «tutela» davvero l’artista la richiesta di denaro, a giornali che si occupano di informazione e critica d’arte, per la diffusione di immagini di opere dell’artista stesso?
• Le cifre per comprare un pacchetto di immagini stampa non risultano fuori budget per una testata online dalle ridotte capacità economiche, probabilmente operante in perdita o sovvenzionate per sopravvivere?
• Le tempistiche della Siae in merito al benestare per l’utilizzo (pagato) delle immagini (15/30 giorni) non risultano assurdamente lunghe per i tempi dell’editoria digitale?
• Le politiche che la Siae segue con uffici stampa ed editori non sono eccessive e penalizzanti per tutta la filiera? Non si rischia di compromettere l’intero ecosistema, dall’organizzatore di mostre all’editore, fino al lettore?
• Perché la Siae impedisce agli uffici stampa di assolvere al pagamento dei diritti per un pacchetto di immagini da destinare ai giornalisti, incluse quelle degli allestimenti?
Nel 2021 la Siae diceva...
«Gli editori contribuiscono in modo rilevante alla cultura, ma la finalità didattica non può essere considerata prevalente su quella commerciale. Privando gli autori dei loro diritti, si creerebbe un impoverimento culturale della società». Così si esprimeva tre anni fa Valeria Foresi, dal gennaio 2018 a capo della Sezione Olaf della Siae che tutela le opere letterarie e delle arti visive.
Leggi anche:
Le norme Siae non sono leggi dello Stato
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