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Francesco Pantaleone

Foto: Mario Virga

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Francesco Pantaleone

Foto: Mario Virga

Francesco Pantaleone: «Da vent’anni sfido Palermo, da sei Milano»

«Benché le due città abbiano due anime differenti, ho sempre creduto che il dialogo tra loro passasse attraverso gli artisti coinvolti»

Monica Trigona

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Nell’estate 2003, un giovane trentenne, diplomato in Decorazione all’Accademia di Belle Arti di Urbino e in Arte sacra contemporanea all’Accademia di Belle Arti di Palermo, fondava la galleria Francesco Pantaleone Arte Contemporanea (Fpac) nella sua città, Palermo. Con l’apertura nel 2017 della sede milanese, in zona Porta Romana, gli spazi sono diventati due. Abbiamo incontrato il gallerista per saperne di più sulla sua visione progettuale e sul territorio che l’ha stimolato.

Francesco Pantaleone, che cosa l’ha spinta a mettersi in quest’avventura?

Sicuramente il desiderio di trasformare il grande amore per l’arte in qualcosa di reale e di concreto, una passione per una professione in anni in cui non era affatto scontato. Durante le mie esperienze lavorative all’estero, tra cui quella da Gagosian a New York, la mia mente era sempre rimasta in Sicilia. Il 2003 è stato un momento speciale, miliare nella mia vita, una decisione di quelle che segnano uno spartiacque tra un «prima e un dopo». Rientrare nella propria città e fondare la galleria che porta il proprio nome è un po’ come una paternità. 

Sei anni fa ha aperto anche a Milano. Un bel salto. Una bella differenza. Un bell’impegno.

I due progetti sono strettamente connessi: non ho mai pensato allo sdoppiamento come a una diversificazione, ma piuttosto come a una moltiplicazione. Entrambe le gallerie si somigliano molto nella distribuzione e nelle atmosfere degli spazi. Benché Milano e Palermo abbiano due anime differenti, ho sempre creduto che il dialogo tra loro passasse attraverso gli artisti coinvolti, attraverso i loro sguardi e anche attraverso il rapporto con me. L’esperienza della doppia galleria è stata una continua sfida che mi ha riservato tantissime emozioni.

Fino a poco tempo fa il capoluogo siciliano non era considerato come un centro dell’arte contemporanea. Ci sono segnali di cambiamento?

La sensibilità del territorio verso gli attuali linguaggi creativi è stata lenta ma inesorabile. Palermo è pulsante, imprevedibile, magnetica, tutte prerogative della contemporaneità. Manifesta 12 (tenutasi nel 2018, Ndr) ha rappresentato la dichiarazione di un’attitudine che fa di questa città una città aperta all'arte odierna. Progetti come BAM, Biennale Arcipelago Mediterraneo, nata nel 2017, e l’avvento di persone che hanno creduto in questa multiforme realtà investendovi parecchio, come ad esempio Massimo e Francesca Valsecchi che hanno ripensato Palazzo Butera come una casa museo, Annibale e Marida Berlingieri, che hanno restituito al suo splendore il cinquecentesco Palazzo Mazzarino, e Beatrice Merz, che ha stabilito presso i Cantieri Culturali alla Zisa una sede della Fondazione Merz, rappresentano esperienze esemplificative della trasformazione in atto. 

Lei ha in programma una mostra «sui generis» per quest’autunno...

Si tratterà di un’esperienza onirica tra il presente e il passato, soprattutto rievocando, con un allestimento specifico, la vecchia galleria di Palazzo Rammacca, nostra prima sede. In tutto questo non sarò solo, avrò accanto amici e colleghi, vecchi e nuovi, in quella che immagino come una festa e l’ennesima sperimentazione collettiva insieme a chi amo.

Monica Trigona, 04 agosto 2023 | © Riproduzione riservata

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