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Giorgia Aprosio
Leggi i suoi articoliFondata nel 1992 a Lucerna, la Galerie Urs Meile è stata una delle prime gallerie occidentali a stabilirsi in Cina, distinguendosi per il suo impegno attivo nella promozione del dialogo artistico transculturale. Rappresenta artisti sia europei che cinesi, spaziando tra diverse forme di espressione artistica, dalla pittura alla scultura, fino alle installazioni e alla videoarte. Dal primo spazio aperto a Pechino nel 2006, progettato dall’artista e stretto collaboratore Ai Weiwei, fino al trasferimento nel 2017 nel dinamico quartiere artistico 798, la galleria ha continuato a impegnarsi a lungo termine nel tessere connessioni profonde che superano confini geografici e generazionali. Ne abbiamo parlato con René Meile, figlio del fondatore Urs Meile e attuale direttore della sede di Pechino, custode di questa visione e osservatore attento dell'evoluzione delle dinamiche culturali e di mercato in Cina.
Partiamo dall’inizio. René, puoi raccontarci come è cominciata l’avventura di Galleria Urs Meile in Cina?
Mio padre, Urs Meile, arrivò per la prima volta in Cina all’inizio degli anni ’90 grazie a Uli Sigg, grande collezionista e tra i primi uomini d’affari occidentali a stabilire connessioni nel paese. Sigg, ambasciatore svizzero in Cina, ebbe un ruolo fondamentale nel favorire gli scambi culturali ed economici tra l’Occidente e la Cina. Qui, all’epoca, la scena dell’arte contemporanea era ancora agli albori: esisteva, ma si sviluppava perlopiù dietro porte chiuse o all’interno delle accademie. È in questo contesto che mio padre cominciò a stringere rapporti e a collaborare con artisti come Ai Weiwei, Qiu Shihua, Shao Fan, Xie Nanxing e Wang Xingwei…
… oggi considerati tra gli artisti contemporanei più influenti in Cina e oltre. È interessante notare come la crescita della galleria sia andata di pari passo con il percorso dei suoi artisti: proprio nel momento in cui il loro lavoro ha iniziato a ottenere riconoscimenti internazionali, la galleria ha aperto una sede a Pechino.
Durante gli anni ’90 abbiamo esposto opere dei nostri artisti principalmente in Europa e negli Stati Uniti. Poi, nel 2005, spinti principalmente dagli stessi artisti desiderosi di esporre anche nella loro terra natale, facemmo un passo significativo aprendo la sede a Pechino. Nel frattempo, la scena artistica cinese continuava a evolversi, guadagnando visibilità e impegnandosi più attivamente sul palcoscenico globale. La nuova galleria offrì così nuove opportunità anche ad artisti occidentali, come Urs Lüthi, Rosalind Nashashibi e Rebekka Steiger, di farsi conoscere sul mercato cinese.
L’aumento dell’attenzione globale sull’arte contemporanea cinese ha portato nel tempo molti dei vostri artisti a partecipare a importanti mostre internazionali, tra cui la Biennale di Venezia e Documenta. Il legame con la galleria, però, è rimasto una costante. Penso, per esempio, a Xie Nanxing, un artista il cui lavoro si è notevolmente evoluto e continua a trasformarsi, ottenendo un riconoscimento internazionale. Di recente si è conclusa «You Can’t See Me», la sua ultima mostra nello spazio di Pechino. Quali eventi o progetti ricordi come momenti chiave, in cui hai sentito che l’impegno duraturo della galleria stava veramente dando i suoi frutti?
Come galleria, si aspira sempre a stare un passo avanti rispetto alle tendenze, ma ciò che ammiro veramente nel lavoro di una galleria è l’impegno a lungo termine verso gli artisti, concepire ogni esposizione come un nuovo passo in un viaggio più ampio. Sì, in questo Xie Nanxing è l’esempio perfetto: quando mio padre organizzò le sue prime mostre, inizialmente passarono inosservate, poi tutto cambiò quando fu incluso nella Biennale di Venezia e a Documenta. Allo stesso modo, anche la retrospettiva di metà carriera di Shao Fan al Ludwig Museum di Koblenz, dove il suo complesso corpo di lavoro fu presentato nella sua interezza per la prima volta, rappresentò per noi un momento indimenticabile. La stessa sensazione ebbi con «Oriental Nobility» di Wang Xingwei, una mostra ambiziosa, che trasformava l’aspetto convenzionale dei nostri spazi replicando la disposizione della Città Proibita.

Una veduta della mostra «Septic Tank» di Cao Yu nella Galerie Urs Meile, Beijing, Cina, 2024. Courtesy: The artist and Galerie Urs Meile
Attualmente sei partner della galleria e capo responsabile degli affari in Asia. Abiti a Pechino ormai da molti anni. Potresti raccontarci come è iniziata la tua esperienza qui? Quali sono state le principali sfide? E quale visione hai sviluppato per questa sede?
La mia esperienza in Cina è iniziata nel 2005, quando, vivendo e studiando a Pechino, cominciai prima a conoscere e poi a lavorare a stretto contatto con gli artisti locali. Ero inizialmente titubante all’idea di unirmi all’impresa di mio padre, ma l’incoraggiamento degli artisti mi diede grande motivazione. Un’altra spinta fu comprendere poco a poco la profonda significatività culturale e storica della Cina, così incredibilmente poco conosciuta in Occidente: 5mila anni di storia in cui è stata protagonista di primari avanzamenti tecnologici e culturali, uniti da un sistema linguistico estremamente coeso. Questa consapevolezza ha trasformato inevitabilmente anche la mia attenzione verso l’arte contemporanea cinese, da un semplice interesse di nicchia a un indispensabile sviluppo culturale di portata internazionale. Dedicarmi all’arte contemporanea cinese non è mai stata, in questo senso, una scelta strategica o isolata, ma piuttosto un percorso naturale e organico, paragonabile alla collaborazione tra gallerie europee e artisti americani, con l’obiettivo di creare un dialogo culturale globale, più ampio.
A distanza di anni, quali sono oggi i tuoi pensieri sullo stato dell’arte contemporanea cinese? Riconosci nuove tendenze o fenomeni particolarmente significativi?
Come nel resto del mercato dell’arte globale, anche la Cina negli ultimi anni ha mostrato un forte interesse verso la pittura. È interessante osservare come solo un decennio fa, o al massimo due, nuovi media come cinema e video fossero la tendenza dominante, mentre oggi sono quasi scomparsi, principalmente a causa della mancanza di sostegno del mercato. L’assenza di valutazioni indipendenti della scena artistica da parte di istituzioni non profit o del settore pubblico, unita alla rapida espansione di un mercato guidato dai collezionisti, ha reso le tendenze e i movimenti sempre più effimeri. Navigare in questo flusso di arte altamente commercializzata, progettata per soddisfare la domanda popolare, richiede tempo, intuizione e molta attenzione per identificare sviluppi e fenomeni significativi o promettenti.
Oltre a un programma di residenze che facilita l’interscambio, la sede di Pechino ha aperto una project room che ospita spesso mostre di artisti locali emergenti.
Il nuovo spazio 弦 xián, all’interno della galleria, ha inaugurato a fine 2024. Il suo nome, che in italiano si traduce in «corda», cattura l’essenza di questo progetto che vuole essere un punto di tensione che dischiude un potenziale, una fonte di connessione e risonanza che mi auguro possa generare movimento risuonando nello spazio e nella comunità come un suono attraverso vibrazioni sottili.
Qui hai esposto opere di Wan Qing (1993) prima e di Liu Le (1995) subito dopo. Sembra tu sia riuscito a individuare una sorta di «zona franca» anche tra le nuove generazioni: in entrambe le loro pratiche vedo la volontà di preservare il genius loci di cui parlavi, mantenendo al contempo una eco internazionale…
Le accademie d’arte cinesi sono note per la loro eccellente formazione tecnica, che spesso pone meno enfasi sugli aspetti concettuali. Negli ultimi anni abbiamo assistito a un numero crescente di giovani artisti cinesi emersi da prestigiose accademie nel Regno Unito e negli Stati Uniti, dove ricevono una formazione in un contesto concettuale occidentale. Questo rende il loro lavoro e approccio immediatamente accessibili a un pubblico internazionale, ma può anche attenuare il senso di urgenza sociale che caratterizza il lavoro dei colleghi che si formano in Cina. Credo che tra questi stia emergendo una maggiore consapevolezza dell’importanza storica della cultura cinese, e gli artisti stanno sviluppando un linguaggio artistico contemporaneo che pur mantenendo un carattere sovversivo, riesce a coinvolgere un pubblico sempre più vasto.

Una veduta della mostra «Oriental Nobility» di Wang Xingwe al No. 6 Storage Warehouse, Hetong Aoyuan Beijing, Cina, 2023. Courtesy: The artist and Galerie Urs Meile
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