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Una veduta dall’alto del Colosseo

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Una veduta dall’alto del Colosseo

Grazie alla metro C conosciamo il sistema costruttivo del Colosseo

A Roma, nell’ambito dei lavori della metropolitana, gli scavi del fronte sud dell’Anfiteatro Flavio hanno messo in evidenza il metodo edilizio del monumento. Tra i rinvenimenti, un frammento di un busto di Giove e un anello d’oro 

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Arianna Antoniutti

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Si è da poco conclusa la campagna di scavo (2022-24) del fronte meridionale dell’Anfiteatro Flavio, nell’ambito dei lavori della Linea C della Metropolitana. Federica Rinaldi, responsabile del Colosseo, ci illustra gli inediti risultati. «Gli scavi, spiega, sono stati realizzati allo scopo di indagare estensivamente i livelli archeologici relativi alle fasi di costruzione e di uso dell’Anfiteatro come edificio per spettacoli, i successivi periodi di crollo con le conseguenti attività di spoliazione e rioccupazione, fino ad arrivare ai grandi interventi di restauro e consolidamento ottocenteschi. Nei secoli queste diverse attività hanno modificato completamente le quote altimetriche di tutto il settore della piazza che si estende sul fronte meridionale; inoltre, la scelta intervenuta agli inizi degli anni Duemila di pavimentare in sanpietrini tutto questo settore, senza distinzione tra lo spazio di diretta pertinenza dell’Anfiteatro e la piazza propriamente detta, ha compromesso ulteriormente la lettura del profilo originario del monumento e ha contribuito a obliterarlo negli interri, facendo perdere l’originaria percezione della sua verticalità rispetto al contesto circostante. Gli scavi, riportando alla luce la platea di fondazione con le impronte dei colossali plinti e dei blocchi della pavimentazione, e in alcuni settori anche i resti di questi stessi ancora conservati (il cui spessore arriva fino a 90 centimetri), consentono oggi di percepire il vuoto dei due ambulacri mancanti, ma allo stesso tempo di immaginarne l’originaria presenza, ricongiungendo il perimetro meridionale a quello settentrionale, rivolto verso via dei Fori imperiali, e rimasto intenzionalmente integro e completo. Uso a proposito la parola “intenzionalmente” perché ragioni geologiche ma anche storiche hanno decretato i differenti destini dei due settori. Il diverso substrato ha favorito in un caso l’effetto devastante dei numerosi terremoti, verificatisi con terribile continuità almeno dal V al XIV secolo, dall’altro la montagna di marmi e travertini accumulatasi con i crolli è diventata preda di spoliazioni e ruberie con una conseguente attività di riutilizzo, dapprima ancora controllato dall’autorità imperiale e poi via via in modo indiscriminato».

Quali novità sono emerse sul sistema costruttivo del Colosseo? 
Uno degli aspetti più interessanti dello scavo, proprio perché mai esplorato in modo così estensivo e quindi inedito (motivo per cui ne faremo presto una pubblicazione dopo la giornata di archeologia pubblica tenutasi lo scorso 20 settembre), ha riguardato il sistema costruttivo dell’Anfiteatro sia dal punto di vista architettonico, sia dal punto di vista idraulico, entrambi profondamente integrati. È stata confermata l’esistenza di una struttura elissoidale di contenimento della fondazione all’interno della quale, sin dalla progettazione, fu risparmiato il canale idraulico anulare superiore; su questo canale, di cui al momento sembra accertata una pendenza da ovest verso sud, immettono i canali radiali indagati (4 su 17), realizzati in cassaforma (abbiamo rinvenuto ancora in situ i chiodi usati per il fissaggio delle travi lignee), senza rivestimenti parietali ma pavimentati da laterizi con i bolli di età vespasianea. I radiali, con una pendenza costante dell’1%, sono stati realizzati e risparmiati all’interno delle gettate della fondazione. Sulla superficie superiore della fondazione è avvenuta la scoperta più importante: le tracce degli ingombri originali dei plinti dei pilastri del I e del II ambulacro e quelle dei blocchi della pavimentazione hanno lasciato impronte ben marcate e profonde nei punti in cui doveva essere scaricato tutto il peso della struttura; diversamente, in corrispondenza del camminamento degli ambulacri anulari, là dove il peso da scaricare era nullo, sono state previste delle piattaforme strutturali di malta cementizia e pozzolana rossa, destinate a fungere da piano di posa di blocchi di pavimentazione molto meno spessi, dell’ordine dei 45 centimetri. In un caso abbiamo potuto documentare il sistema ancora perfettamente in opera. Una volta esposta questa superficie e una volta compreso il sistema progettuale e strutturale, siamo intervenuti per consolidare e restaurare queste tracce assieme alla raffinata superficie di grassello di calce e malta pozzolanica, che un giorno saranno valorizzate con l’aiuto di una ricostruzione virtuale. Angelica Pujia, restauratrice del Parco, ha siglato un protocollo d’intesa con l’Università dell’Aquila per garantire l’intervento di restauro con l’ausilio delle nanocalci in acqua, arrivando alla formulazione di un prodotto dedicato.

Il frammento del busto di Giove venuto alla luce nello scavo poteva far parte della decorazione del Colosseo?
È necessario spiegare da subito che il busto di Giove con egida decorata da una testa di Medusa (da cui l’epiteto «Egioco») è stato rinvenuto come materiale residuale all’interno di un potente interro usato per bonificare e ripristinare piani d’uso e di camminamento, là dove precedenti spoliazioni avevano creato dei vuoti. Questo significa che non solo il busto non si trova nel punto esatto e nel momento esatto in cui è rovinato al suolo, ma fa parte di un accumulo di materiale di epoca romana, ma anche più tarda, rimescolato almeno in età tardomedievale per esigenze di bonifica. Al di là di queste considerazioni di tipo deposizionale e archeologico, è senz’altro suggestivo e non troppo irrealistico pensare che facesse parte del corredo scultoreo del Colosseo. Perché mai ripristinare piani d’uso con materiale proveniente da lontano? Sarebbe stato antieconomico. Inoltre, fonti iconografiche (monete e rilievi almeno) raffigurano il Colosseo con i fornici del II e III ordine decorati da statue di divinità (dovevano essere almeno 152); statue con ogni probabilità posizionate al di sopra di basamenti marmorei, che assai numerosi sono documentati nel Colosseo. Di queste statue se ne conoscono pochissime: scavi passati, realizzati lungo il medesimo versante meridionale, hanno rinvenuto più o meno nelle medesime condizioni di giacitura altri frammenti di statue, attribuite al Colosseo anche per l’alto livello qualitativo, come nel caso del nostro busto di Giove di cui è stata accertata la qualità del marmo pentelico e quindi greco. Benché sia sempre opportuno mostrare estrema prudenza, gioca a favore anche la cronologia del Giove Egioco che, noto in soli due altri confronti e quindi molto raro, si data a partire dall’età severiana e potrebbe appartenere al programma di restauro e rifacimento dell’apparato decorativo dopo il grande incendio del 217 d.C., ugualmente documentato dalle monete. 

Altri ritrovamenti, più minuti, come un bell’anello aureo, ci raccontano invece la lunga continuità di vita dell’edificio.
Certamente, e va aggiunto che il ritrovamento dell’anello d’oro, con quella tipica decorazione a grappolo che cesella la gabbietta sormontante la fascia anulare, e al cui interno una piccola sfera ancora tintinna, ci ha sorpreso per tanti motivi: l’anello per lo stile è ben databile al VI-VII secolo, ed è stato ritrovato nel riempimento di uno dei canali fognari radiali realizzati per garantire il deflusso delle acque descritto poco fa. Questa combinazione ci dice che nonostante la fine dell’uso dell’Anfiteatro come luogo di spettacolo e, nonostante l’autorizzazione allo smontaggio dei marmi e travertini dell’edificio decretata dall’imperatore Teodorico, il Colosseo era ancora frequentato: una donna presumibilmente ha avuto la sventura di perdere il suo prezioso monile, finito in un tombino e poi rimasto inglobato nei sedimenti accumulatisi nel canale. E qui dentro è rimasto sigillato, in assenza di ogni tipo di manutenzione, ormai ritenuta inutile per un edificio in disuso, arrivando fino nelle nostre mani. 

Arianna Antoniutti, 19 febbraio 2025 | © Riproduzione riservata

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