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All’opera: Giorgio Garabelli, uno dei direttori tecnici del Consorzio San Luca di Torino. Foto di Cesare Matta; © Consorzio San Luca Torino

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All’opera: Giorgio Garabelli, uno dei direttori tecnici del Consorzio San Luca di Torino. Foto di Cesare Matta; © Consorzio San Luca Torino

I MEDICI DELL'ARTE | 1. Il restauro italiano numero uno nel mondo

Approvata dopo 24 anni una prima megalista di 6.600 restauratori

Il 28 dicembre 2018, il Mibac ha pubblicato i 6.600 nomi dei «restauratori di beni culturali» come aveva stabilito il Codice dei Beni culturali del 2004. Questo «elenco» contiene i nomi dei professionisti al livello più alto della professione. Eppure in tanti di loro avevano lavorato per anni senza alcun riconoscimento normativo e quindi senza né qualifica, né abilitazione in un caos normativo durato 24 anni, da quando (1994) l’allora ministro Alberto Ronchey tentò, fallendo, di creare un albo dei restauratori.

Dunque, finalmente, la lunga attesa è finita: se non un albo, almeno c’è un elenco. Sono però nate subito nuove divisioni tra i restauratori. Infatti i requisiti per essere iscritti in quell’elenco sono il frutto di norme, decreti e compromessi successivi, confusi e contraddittori, emanati senza ordine nel corso degli anni fino al 2009, quando venne emanata una norma transitoria per mettere un po’ d’ordine in attesa dell’elenco pubblicato, dopo una attesa davvero eccessiva, solo a fine 2018.

Nell’elenco che avrebbe dovuto selezionare l’élite del restauro si è però consentito di accogliere professionisti di livelli molto diversi, con provenienze, studi ed esperienze non sempre attendibili, gonfiandone il numero e rendendo così meno credibili meriti e diritti di ciascuno. Laura Lucioli, presidente di Ora (una delle associazioni che raccolgono i professionisti più accreditati usciti dalle scuole prestigiose dello stesso Mibac), enuncia un elenco poco rassicurante: «Indistintamente sono stati catalogati per settori tutti coloro che ne hanno fatto richiesta: restauratori, ingegneri, architetti, segretarie, geometri e ragionieri, figli o parenti di imprenditori…».

Contro questa posizione, sostenuta da diverse associazioni di restauratori, si sono però sempre battuti diversi sindacati favorevoli a «sanare» la posizione di chi per tanti anni ha svolto la professione anche senza i titoli e l’esperienza necessaria. Tra i sindacati più forti, i tre confederali e altri autonomi, è stata in prima fila la Cna, Confederazione degli Artigiani, che ha insistito perché si allargassero le maglie dell’elenco per inserire i loro rappresentati.

Alla fine, hanno prevalso proprio la Cna e chi invocava un’ampia «sanatoria». Così migliaia di restauratori, non soltanto i migliori, hanno il loro nome nell’elenco tra i restauratori di prima classe. «Abbiamo vinto, commenta il responsabile nazionale dei restauratori Cna, Gabriele Rotini, ma la lunga battaglia ha avuto morti e feriti. Adesso partono tutti alla pari e sarà il mercato a decidere». Per la Cna si tratta di «un riconoscimento dei requisiti professionali. Ora si può operare senza essere considerati di serie B».

Certo, l’immagine di un’Italia che poteva vantare il restauro come una sua eccellenza nel mondo ne è uscita assai appannata. Il confronto e le polemiche tra i restauratori continuano. La prossima battaglia vedrà impegnati i «collaboratori restauratori», gli 11mila che già nel 2017 avevano ottenuto l’iscrizione nell’elenco dei «numeri due», quello dei semplici «tecnici del restauro». Il futuro concorso potrebbe consentire a molti di loro di passare nell’elenco dei «numeri uno». Bisognerà anche superare un esame che, dopo una estenuante trattativa tra Mibac, Regioni (particolarmente attiva la Toscana), sindacati, associazioni, dovrebbe essere adesso abbastanza rigoroso.

Molti vedono con timore la possibilità di una nuova «sanatoria». I sindacati spiegano che circa 5mila «collaboratori» hanno già titoli e requisiti per entrare nell’elenco dei «restauratori di beni culturali». L’elenco completo potrebbe dunque superare quota 10mila. Del resto è già grave il rischio di un piccolo esercito di restauratori disoccupati: i dati dicono che il mercato è saturo, non c’è lavoro per tutti. Ma il rischio più grave è che troppi artigiani e restauratori, forse bravi ma senza i necessari titoli ed esperienza, rendano inutile e senza valore l’elenco dei restauratori che dovrebbe invece rappresentare l’élite del restauro.

Un’ulteriore sanatoria porterebbe a una forte dequalificazione professionale e, quel che è peggio, non garantirebbe più la qualità degli interventi mettendo a rischio tanti nostri tesori d’arte. Il «restauratore di beni culturali» è infatti responsabile di ogni fase del restauro e deve padroneggiare molti e diversi saperi: la storia dell’arte, le moderne teorie del restauro, deve saper impostare ricerche e progettare delicatissimi interventi, condurre la direzione tecnica anche nei casi più impegnativi.

Si tratta di conoscenze ed esperienza ben al di là dell’abilità manuale. In questi ultimi anni molte Università, Accademie e Scuole hanno istituito corsi di laurea in restauro, che portano per legge nell’elenco sempre nuovi restauratori. In queste pagine raccogliamo diverse voci, punti di vista e aspetti della «questione restauratori» che divide e preoccupa il mondo della cultura.

I MEDICI DELL'ARTE

1 |  Il restauro italiano numero uno al mondo
2 | Gianluigi Colalucci
3 | Pietro Pietraroia e Nanni Molè
4 | Il Chi è del restauro italiano
5 | Laura Lucioli
6 | Simona Sajeva
7 | Anna Scavezzon
8 | Giorgio Bonsanti
9 | Antonio Forcellino

All’opera: Giorgio Garabelli, uno dei direttori tecnici del Consorzio San Luca di Torino. Foto di Cesare Matta; © Consorzio San Luca Torino

Edek Osser, 11 marzo 2019 | © Riproduzione riservata

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