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Un momento della ricostruzione del Tempio di Ellesiya nel 1970

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Un momento della ricostruzione del Tempio di Ellesiya nel 1970

I 66 blocchi del Tempio di Ellesiya che trovarono casa a Torino

Nel 1962 il Governo egiziano donò la struttura all’Italia per il contributo nel salvataggio dei monumenti nubiani. Due anni dopo iniziarono i lavori di smontaggio, diretti da Silvio Curto, per trasferirla nel capoluogo piemontese

Francesco Tiradritti

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Il 25 settembre 1964 il Governo egiziano (allora Repubblica Araba Unita) accetta la richiesta della Soprintendenza all’Egittologia di Torino, alla cui direzione era stato da poco nominato Silvio Curto (1919-2015), di collaborare allo smontaggio del Tempio di Ellesiya, donato due anni prima all’Italia per il contributo prestato nel salvataggio dei monumenti nubiani. L’atto dava via in modo ufficiale all’inizio del recupero della piccola cappella rupestre dedicata da Thutmosi III (prima metà del XV secolo a.C.) a una forma locale del dio-falco Horus. 

Ellesiya si trovava poco a nord di Abu Simbel e negli anni precedenti una missione archeologica italiana vi si era già recata per due volte per studiare le modalità di estrazione dalla roccia del santuario che rischiava di restare sommerso dal crescere delle acque del Lago Nasser. A partire dall’anno successivo la faccenda iniziò a complicarsi. Si tirarono indietro le istituzioni accademiche che avevano assicurato un sostegno finanziario e intervenne allora il Comune di Torino che, grazie anche a collette organizzate a mezzo stampa, riuscì a raccogliere i fondi necessari entro la data di scadenza. Veniva intanto decisa la chiusura anticipata della diga di Assuan al settembre successivo. Per fortuna l’ultima magra del Nilo si dimostrò di maggiore consistenza contrariamente a quanto previsto. Venendo ormai a mancare il tempo a disposizione, Curto si precipitò in Egitto raggiungendo Ellesiya il 13 luglio. Il santuario sommerso dalla «vasta fiumana fangosa» emerse lento davanti ai suoi occhi fino a quando le acque scesero poco sotto la soglia e uscirono «dallo speco a torrente». La situazione apparve però subito critica. Il fiume non si era ritirato abbastanza e la chiatta destinata al trasporto dei blocchi fu avvicinata al tempio a gran fatica. Su di essa e su una balza alla sinistra del tempio alloggiarono operai, tecnici e archeologi. Non era neanche possibile ricevere rifornimenti e il cibo cominciò presto a scarseggiare. Lavorando anche di notte il tempio fu tagliato in 66 blocchi di pietra di un metro cubo di grandezza e del peso di una tonnellata. Venti giorni dopo erano già tutti sulla chiatta che grazie alla risalita delle acque del Nilo poté raggiungere Uadi es-Sebua dove il prezioso carico fu immagazzinato in via provvisoria e giunse a Torino il 24 aprile 1967. Difficoltà nel reperimento di una manodopera specializzata e la necessità di dotare l’edificio di un pavimento e di un soffitto allungarono ulteriormente i tempi della ricostruzione. Un progetto dell’architetto Cesare Volpiano e l’intervento dei Pininfarina, entrambi benevoli, resero il monumento accessibile al pubblico nel 1970 (per la nascita del Museo dell’Egizio e delle sue collezioni, Ndr).

Francesco Tiradritti, 19 novembre 2024 | © Riproduzione riservata

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