Elena Abbate
Leggi i suoi articoliSulla formazione pittorica di Bob Dylan, del suo interesse per le arti visive, non abbiamo molte tracce, ma solo qualche indizio, tra ciò che autorevoli critici d’arte e studiosi dell'artista hanno incominciato a scrivere sulla sua opera. Sappiamo che a Woodstock, alla fine degli anni Sessanta, un pittore suo vicino di casa, Bruce Doorfman, gli insegnò a usare i colori a olio. Dylan si presentava ogni volta con un libro su un maestro per provare a riprodurre le opere. Ne portò uno su Veermer (provò a riprodurre «La ragazza con flauto»), e poi quelli su Claude Monet, Vincent Van Gogh, Marc Chagall, del quale andò a vedere una mostra al Guggenheim di New York nel 1968.
La passione di Dylan per il disegno è testimoniata dagli schizzi inclusi in Writings & Drawings (la raccolta dei testi delle sue canzoni) uscito nel 1972, e nella versione aggiornata delle Lyrics pubblicata nel 1985. La sua passione per la pittura invece, è documentata da tele che dipinge in quegli anni, rifacendosi soprattutto a Chagall, alcune delle quali riprodotte: un autoritratto per la copertina del suo disco Self Portrait (seguiranno, anni dopo, i disegni nelle copertine di Planet waves, Infidels, Empire Burlesque), una scena di musica campestre per la copertina di Music from the Big Pink di The Band, il quadro “Lo and Behold” appartenuto alla collezione di Al Aronowitz, un altro con un ritratto di donna appartenuto a Sally Grossman, e un ritratto di musicista per la copertina di un numero della rivista Sing Out. Sappiamo che nell’aprile del 1974, a New York, Bob Dylan frequentò il corso di pittura di Norman Raeben che gli servì, come egli stesso raccontò in un’intervista al «Dallas Morning News» del 1978, «per fare consapevolmente quello che facevo inconsapevolmente»
Grazie a Raeben, un maestro convinto che in arte il precetto precede il concetto, e che l’intelletto non può nulla contro il sentimento unito al rigore della disciplina, Dylan apprese «a far sì che la testa, la mente e l’occhio comunicassero fra di loro, a realizzare visivamente quello che è reale». Parola di Dylan, Raeben era stato capace di insegnargli a vedere che «ieri, oggi e domani stanno tutti nello stesso spazio» e che una volta capito questo principio, «non c’è niente che non si possa immaginare».
Ci sono riferimenti alla pittura nelle canzoni di Dylan, messi in evidenza da Alessandro Carrera, il traduttore in lingua italiana di tutte le liriche dell’artista: le strofe su Monna Lisa e «l’infinito che viene giudicato dentro i musei» in Visions of Johanna del 1966; l’artista americano che vagabonda per l’Europa e ha un appuntamento a Roma con una «nipote di Botticelli» che promette di stargli vicino quando lui dipingerà il suo capolavoro, in When I Paint My Masterpiece del 1971. In un brano incompleto registrato nel febbraio del 1966, «Positively Van Gogh», c’è una prima testimonianza dell’importanza della pittura nella sua poetica, che Carrera mette in relazione con la poesia di Allen Ginsberg «Morte all’orecchio di Van Gogh!» nella quale «il vate d’America chiede che l’orecchio del pittore venga considerato moneta dal corso legale»!. Michelangelo è presente in Jokerman, una canzone del 1983, mentre in Highlands, una canzone del 1997, il narratore si ritrova in un ristorante di Boston a dialogare con una prepotente cameriera che gli ordina di essere ritratta da lui: «Lei è un artista, mi faccia un ritratto!» e il narratore risponde: «Lo farei volentieri, ma non so disegnare a memoria».
Il lavoro pittorico di Dylan, benché disponibile al pubblico fin dagli anni sessanta, ha però incominciato ad essere conosciuto per la sua estensione e qualità solo dal 1994, con la pubblicazione di 92 disegni in bianco e nero realizzati tra il 1989 e il 1992, durante i suoi viaggi per concerti in America, Asia, Europa. Dylan chiamò questa raccolta Drawn Blank, l’archetipo di tutti i suoi successivi lavori, che sono entrati autorevolmente nel circuito internazionale dell’arte, con mostre in sedi pubbliche e private.
La prima esposizione si è tenuta nell’ottobre 2007 alla Kunstsammlungen di Chemnitz, in Germania dove, accanto a quadri e disegni, l’artista ha rivisitato alcune delle immagini originali di Drawn Blank. La differenza eclatante, tra la prima versione dei suoi disegni e la loro trasformazione successiva, è la colorazione delle immagini, che l’artista continua a cambiare drasticamente, anche nella tonalità.
Da allora, nuove sorprendenti collezioni (le Drawn Blank Series, le Brazil series, le Asia series) hanno cominciato ad essere esposte in tutto il mondo. Per creare le Drawn Blank Series, Dylan ha portato i suoi disegni in bianco e nero ad una scala superiore, stampandoli su carta pregiata e procedendo a ri-lavorarli, aggiungendo dettagli aneddotici e vivacizzandoli con colori accesi, a matita, acquarello e gouache.
La reputazione di Bob Dylan come artista visivo sta emergendo perché la sua opera pittorica, come quella musicale, è poderosa, sincera, immediata e compiuta. Dylan è uno dei pochi artisti in cui lavoro è di alto livello in più forme e dimensioni, con le parole, la musica, il canto, il disegno, la pittura. Nei temi e nella forma, le sue opere pittoriche offrono una visione del mondo fortemente individuale, ma senza affermazioni conclusive. Come ha scritto il poeta Andrew Motion, tutto, nelle immagini, il soggetto, l’ambientazione, il segno pittorico, ci parla del transitorio, dell’impermanente, della difficoltà di essere simultaneamente stabile e instabile, ma anche della tristezza e la malinconia dell’esistenza.
L’affermazione di Dylan che questi disegni vennero fatti originariamente «per rinfrescare una mente stanca» è bilanciata dalla sua convinzione nell’uso del colore, con un forte senso di energia, autenticità e umanità. Le Drawn Blank Series sono come un diario per immagini di una vita vissuta in viaggio. Se in alcuni ritratti percepiamo un candore che ci fa percepire l’intimità tra le persone come un caldo rifugio, nella maggior parte dei lavori lo sguardo non è mai a tu per tu, ma lontano, laterale, fissato su luoghi e oggetti ordinari, apparentemente assenti, come se nessuno li avesse notati.
Come ha scritto il critico Andrew Graham-Dixon, c’è l’espressione visiva di un’accesa malinconia in questi lavori, un senso di caducità, «l’essenza dell’arte di Dylan nelle Drawn Blank Series è lo spirito di resistenza dall’illusione di auto importanza, è il lavoro di qualcuno che non desidera la propria mummificazione come genio o guru, ma ricordare a se stesso e agli altri che è solo un uomo». Ovunque, nelle immagini, è la sensazione di un uomo immerso nel mondo, quasi mai visibile a quelli intorno a lui; il punto di vista di qualcuno che sembra essere fuori dalla vita, che sta per entrare in un luogo ma che se gli capita di entrarci, non lo fa quasi mai con intenzione. Ciò che rende affascinanti queste opere è infine la possibilità per lo spettatore di osservare da vicino, senza timore o diffidenza, il lavoro di un artista con più di un talento, poichè questa versatilità creativa è in accordo con la natura umana.
Le opere di Dylan rivelano gli inusuali poteri di percezione sinestetica di un’artista capace, come pochi altri, a comunicare percezioni ed emozioni complesse in differenti campi creativi. Bob Dylan è tra i pochi divini artisti a cui bastano pochi colpi di batteria (o di pennello) per spalancare le porte del mistero.
I grandi stilisti della musica, in particolare i grandi stilisti del jazz classico (dopo, con il bebop, ogni colore scompare) sono riconoscibili per la tinta del loro suono. Viceversa, i colori della pittura, hanno un suono? Per Paolo Conte, cantante, musicista, pittore, grande d’Italia «il Do è biancastro, il Re bemolle è nero, il Re è maron chiaro, il Mibemolle celeste pallido, il Mi verdone, il Fa rosso, il Fadiesis maron scuro, il Sol bianco, il La bemolle rosso cupo, il La amaranto, il Sibemolle blu scuro, il Si grigio antracite». Nel caso di Dylan, il suo azzurro cielo radiante, il suo cobalto, il suo vivido verde prato, il suo rosso, il suo giallo, il suo lilla, il suo caldo blu, a quale suono corrispondono?
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