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L’appuntamento è per febbraio 2026, inaugurazione delle Olimpiadi invernali di Milano e Cortina. Il luogo, sorprendente e misterioso, è l’ex Albergo Diurno (erano bagni pubblici) progettato da Piero Portaluppi e inaugurato nel 1925, nel sottosuolo di piazza Oberdan: Porta Venezia per i milanesi. Lì avrà sede il Mnad, Museo Nazionale di Arte digitale, polo per le sperimentazioni d’avanguardia del Ministero della cultura (MiC), diretto da Ilaria Bonacossa (Milano, 1973).
Non che sinora il progetto sia stato «in sonno»: dopo il convegno europeo dello scorso giugno «The new Atlas of Digital Art», che quest’anno verrà replicato dal 22 al 26 giugno con «Meet-Digital Culture Center», in un’edizione ampliata in cui si farà il punto su queste nuove realtà internazionali, continua a Milano il ciclo d’incontri «Visioni Diacroniche» (il prossimo, il 31 maggio, con Natália Trejbalová).
Fitte anche le collaborazioni: con il MaXXI di Roma (la mostra «Digital Antibodies», da poco conclusa), con le Ogr di Torino («Metamorphosis») e con il Meet-Digital Culture Center di Milano, partner nel nuovo polo digitale, dove è stata presentata (con Filmmaster) l’installazione immersiva «Everything» del collettivo turco Nohlab, per la prima volta in Italia.
Ne parliamo con Ilaria Bonacossa, la quale ci spiega che «il fatto di non poter ancora lavorare in una nostra sede ma di agire come un “batterio” è molto funzionale, perché ci permette di testare il nostro lavoro su più fronti. Quanto alla sede, sì, la partenza è stata lenta perché sono in corso i restauri conservativi per la parte storica e la messa a norma degli spazi per farne un museo. Stiamo lavorando con un team di architetti del MiC per stendere lo studio di fattibilità preliminare in vista della gara per i lavori. Il MiC ha stanziato sei milioni di euro, sufficienti per iniziare: abbiamo avuto la grande fortuna di poter far passare tutti gli impianti nelle intercapedini in cui si scaldava l’acqua e che corrono proprio accanto allo spazio. Intanto il Comune ci ha dato in concessione trentennale, insieme al Diurno, il Casello daziario ovest di Porta Venezia, dove avremo a breve gli uffici e uno spazio espositivo».
Lei ha un ricco curriculum alle spalle, da curatrice della Fondazione Sandretto Re Rebaudengo di Torino, direttrice del Museo di Villa Croce di Genova, poi di nuovo a Torino, dal 2017 al 2021, alla guida di Artissima. Quali di queste competenze, secondo lei, hanno indotto il Ministero ad affidarle questo incarico?
Credo che sia stata la mia esperienza di management non solo museale: con Artissima ho mosso budget importanti, trovato sponsor. È quello che si cercava per il Mnad. Ma ho anche molto lavorato con l’innovazione, guardando agli artisti giovani sin dai tempi della Fondazione Sandretto, e poi anche a Genova (dove avevo un budget minimo. Del resto, se un direttore di museo d’arte contemporanea non fa lavorare i giovani, «mutila» la propria funzione). Ad Artissima avevamo avviato un progetto sugli Nft trasformatosi nel 2022 in uno sul Metaverso. Il Museo digitale, pur senza nazionalismi esasperati, punterà anche su artisti italiani, cui si darà la possibilità di produrre e di farsi conoscere anche all’estero. Avremo però anche figure come Eva e Franco Mattes, fra i «pionieri» dell’Internet art, che sono presenti in collezioni straniere importanti ma non figurano in nessuna collezione pubblica italiana, con cui durante il Salone del Mobile presenteremo un’opera pubblica per una notte con Reasoned art, e pensiamo a Studio Azzurro, che ha avuto riconoscimenti solo rapsodici. Si tratta di riscoprire l’arte italiana digitale e di darle opportunità di crescita.
Ma che cos’è esattamente un Museo di Arte digitale?
Negli anni ’60 c’era l’Arte elettronica, poi la Media art e l’Internet art. Nel nostro mandato c’è la creazione di una collezione, ma sarà quasi impossibile acquistare opere di quegli anni: compreremo arte dal 2000 in poi. Tuttavia, possedere una collezione apre il grande tema della conservazione, la mia vera preoccupazione. I protocolli esistenti per quest’arte nuova (al momento, uno dei più rigorosi è quello dello Stedelijk Museum di Amsterdam) sono in evoluzione e servono figure nuove, a metà tra il restauratore, lo storico dell’arte e l’esperto di tecnologia digitale. Quando si compra, si deve sapere come si conserverà (si tratta di denaro pubblico, non dimentichiamolo!) e non solo a breve ma anche a lungo termine, in un campo in cui le tecnologie diventano desuete in pochissimi anni. Noi compreremo file, che stanno non in caveau ma su chiavette, drive, sulla «nuvola». E qui si apre la questione della sicurezza: si mette tutto su un cloud, ma chi avrà le chiavi d’accesso? Al riguardo ci sono tavoli di confronto.
Parliamo dell’Intelligenza Artificiale nell’arte.
È un tema su cui ci s’interroga molto. Funziona un po’ come il caso per il Surrealismo: orienta il processo creativo ma, a differenza del caso, è prodotta e disegnata da aziende che hanno obiettivi e un’agenda politica, di cui non si può dare per scontata la neutralità, e che dunque influenza il tipo di dati immessi (pensiamo alla crescita del riconoscimento facciale dopo l’11 settembre: si cercavano terroristi islamici e tutto si basava su dati di visi maschili, dai tratti nordafricani ecc.). La neutralità nell’IA non esiste. Ci sono molti artisti, come Trevor Paglen, che sarà presente a settembre a «Visioni Diacroniche», o Ian Cheng, che fanno un lavoro molto politico, mettendoci in guardia sulla non neutralità dell’IA. Che resta tuttavia uno strumento molto utile per l’Arte digitale.
Come esporrete l’Arte digitale nel museo?
Dopo il restauro conservativo, il salone d’ingresso di Portaluppi sarà destinato a progetti site specific. Di seguito, là dove c’erano i bagni più grandi, «di lusso», metteremo in ognuno un elemento della collezione, da vedere attraverso monitor, iPad, visori 3D, che trasporteranno il visitatore in altri mondi. Poi pensiamo, con la Soprintendenza, di abbattere i 40 cubicoli dei bagni meno costosi per ricavare un grande salone destinato alle opere immersive, spettacolari. Naturalmente vorremmo, in futuro, fare residenze e workshop, invitare realtà interessanti per realizzare progetti condivisi. Noi saremo per il MiC il polo d’avanguardia di ricerca per il digitale, e già sappiamo che la richiesta degli artisti è triplice: tanta banda, tanta elettricità (con sostenibilità) e tanta flessibilità. È ciò che faremo.

L’ex Albergo Diurno di Milano, che ospiterà il Museo Nazionale di Arte digitale
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