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«Elimar» (1889?) è stato acquistato per 50 dollari nel 2019 da un collezionista statunitense

LmiGroup International, Inc.

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«Elimar» (1889?) è stato acquistato per 50 dollari nel 2019 da un collezionista statunitense

LmiGroup International, Inc.

Il Museo Van Gogh boccia il dipinto pagato 50 dollari: «Non è autentico»

La società di autenticazioni Lmi Group International ha prodotto un rapporto interdisciplinare di oltre 400 pagine, ma non è riuscita a convincere il museo di Amsterdam che il ritratto di un pescatore acquistato da un collezionista nel 2019 sia opera dell’artista olandese

«Ribadiamo la nostra opinione, già espressa nel 2019, che il dipinto non è opera di Vincent van Gogh». Così in una mail indirizzata ad ArtDependence Magazine un portavoce del Van Gogh Museum di Amsterdam ha definitivamente escluso che «Elimar» (il titolo si deve alla scritta che compare sull’angolo inferiore destro della tela), raffigurante un pescatore con berretto e pipa intento a riparare la sua rete davanti al mare, sia stato realizzato dal pittore olandese.  Il ritratto era stato acquistato nel 2019 da un collezionista rimasto anonimo per 50 dollari in una «garage sale» nel Minnesota. Un rapporto di 458 pagine redatto da un gruppo interdisciplinare di esperti dopo quattro anni di ricerche, e una spesa di oltre 30mila dollari, dall’Lmi Group International, società specializzata nell’autenticazione di opere d’arte, concludeva  invece che Van Gogh aveva dipinto il ritratto durante la sua permanenza nell’ospedale psichiatrico di Saint-Paul a Saint-Rémy-de-Provence, tra maggio 1889 e maggio 1890.  

Tra gli argomenti a favore dell’attribuzione a Van Gogh, secondo il rapporto, il fatto che i materiali impiegati per dipingere la tela siano ottocenteschi; che sul dipinto compaiano tracce di chiara d’uovo, materiale che l’artista utilizzava per scurire i dipinti o come strato protettivo; che le lettere della scritta «Elimar» presentino significative similitudini con altre opere autografe del pittore; che un capello trovato impastato nei pigmenti appartenesse a un uomo dalla capigliatura rossa, proprio come Vincent.

«Autenticare le opere di Van Gogh è complicato ed è un processo irto di sfide, a causa della lunga storia di falsificazioni che pervadono il mercato, scrive Lmi Group in un comunicato riportato da Art News. Una delle principali sono le opere che l’artista ha creato, ma che non ha mai menzionato nelle sue lettere e che non sono mai state attribuite in precedenza. Ma anche le opere sì citate nelle lettere, che tuttavia non sono mai state rintracciate (forse 300)». La società si è poi detta sconcertata dall’atteggiamento del Museo di Amsterdam, che ha impiegato «meno di una giornata lavorativa per respingere sommariamente i fatti presentati […] senza offrire nessuna spiegazione, e men che meno studiare dal vivo l’opera, vista solo in una riproduzione in jpeg».

Il Van Gogh Museum riceve ogni anno circa 200 richieste di autenticazione: «Di queste, il 99%, a nostro avviso, non possono essere attribuite a Van Gogh», ha dichiarato nei giorni scorsi  al «Wall Street Journal» una portavoce del museo di Amsterdam. Visto l’incremento delle richieste, che sono arrivate a sfiorare le 500 l’anno, il Museo ha cambiato la propria politica, prendendo in considerazione solo opere già «promosse» da gallerie, case d’asta o professionisti del mondo dell’arte, una scrematura che riduce il numero dei possibili candidati a circa 40 ogni anno.

Redazione, 04 febbraio 2025 | © Riproduzione riservata

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